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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

9 Souls (ナイン・ソウルズ, 9 Souls)

I migliori film del cinema giapponese dal 2000 a oggi scelti dalla redazione di Sonatine
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9 Souls (ナイン・ソウルズ, 9 Souls). Regia, soggetto e sceneggiatura: Toyoda Toshiaki. Fotografia (colore): Fujisawa Jun’ichi. Montaggio: Mototaka Kusakabe. Musiche originali: DIP. Suono: Kakizawa Kiyoshi. Interpreti e personaggi: Matsuda Ryūhei (Kaneko Michiru), Harada Yoshio (Torakichi), Chihara Junia (Kuzuma), Onimaru (Shishido), Shibukawa Kiyohiko (Saruwatari), Dairaku Genta (Ushiyama), Suzuki Takuji (Inui), Itao Itsuji (Kamei), Yamada Mame (Shiratori), Eita (Kaneko Noburo). Produzione: Miyoshi Kikuchi, Konishi Keisuke per Eisei Gekijō Co.. Produttore esecutivo: Chiapang Sun. Distribuzione: TFC. Durata: 120’. Uscita sale giapponesi: 19 luglio 2003.

Festival: Nippon Connection (Frankfurt), Philadelphia, Toronto.
Condannato per l’assassinio del padre, il giovane Kaneko Michiru viene incarcerato. Insieme ai suoi otto compagni di cella, il ragazzo fugge di prigione, mettendosi sulle tracce di una capsula del tempo nascosta nei pressi di una scuola elementare ai piedi del monte Fuji. Raggiunta la meta a bordo di un camper sgangherato ed impadronitisi del fantomatico tesoro, il leader del gruppo Torakichi e i suoi compari scoprono con rammarico che si tratta di un semplice cumulo di oggetti senza valore. Sulla via del ritorno, uno ad uno, i fuggitivi tentano di redimersi e ritornare ad una vita normale ma senza risultato, soltanto Michiru sembra mantenere un irremovibile distacco da ciò che lo circonda. Lasciandosi alle spalle rapine, un poliziotto morto, cinque compagni e una gang di yakuza derubata, il gruppo decimato si rimette in viaggio, raggiungendo le vie della capitale. Rimasti in quattro, due saranno abbandonati al proprio destino, mentre Michiru decide di fare visita a Noburo, erede della compagnia finanziaria del padre: tra i fratelli non scorre buon sangue ed un gesto avventato dell’uno scatena la profonda rabbia dell’altro. Comprese le intenzioni del ragazzo, la cui violenza è sul punto di esplodere nuovamente, Torakichi accorre per fermarlo. Il tentativo è fallace ma tra i due, inaspettato, avrà modo di aprirsi lo spazio per una nuova intesa.
Utilizzando l’evasione quale punto di partenza per raccontare la deriva esistenziale dell’individuo, nel suo estenuante tentativo di reintegrazione in un mondo dal quale è stato rigettato, Toyoda Toshiaki racconta della solitudine, dell’accoramento e della nascita della violenza. Un malessere profondo lavora silente nell’animo del protagonista Michiru, mentre l’autore rivolge lo sguardo alle sue disavventure insieme ad un gruppo eterogeneo di detenuti, diversi per età e trascorsi, ed al loro reciproco confrontarsi. Il ragazzo patricida condivide infatti il suo dramma con un gruppo di compagni dai precedenti burrascosi, tra i quali spicca la figura di Torakichi, trait d’union, insieme al suo personaggio, di un ipotetico rapporto di complementarietà disfunzionale, in cui la perdita e vuoto dell’uno è compensazione della manchevolezza dell’altro. Spostando la vicenda dall’ambiente rurale al contesto urbano e conducendo progressivamente a compimento il calvario personale di ognuno, l’autore dipinge le gesta dei suoi fuggitivi attraverso un duplice approccio alla vicenda: dalla irriverenza dei passaggi iniziali, che dalla comicità si spingono fino al grottesco (emblematico il tentativo di copulare con una pecora da parte di alcuni componenti del gruppo), il film compie una drastica virata verso il dramma e la tragedia, quando Shishido decide di rubare l’incasso di una gang di yakuza e Saruwatari rimane ferito a morte in uno scontro a fuoco. Spezzando il film in due parti, il passaggio diviene chiave di volta, racchiudendo in sé la duplice rappresentazione della crudele incongruenza (l’accidentalità avversa e la leggerezza quasi ilare della sua esposizione) ed al contempo l’apertura al dramma della morte, del riscatto inarrivabile che si mostra pura illusione dei sensi (come nel sogno di Saruwatari) scontrandosi con l’indifferenza, l’abbandono e il dolore del reale. D’ora in avanti, le situazioni assurde e paradossali lasceranno spazio ad una progressiva discesa agli inferi, in cui ogni galeotto avrà modo di espiare la propria condanna con la vita ed un’incontrovertibile sofferenza. Toyoda tratteggia con pessimismo personalità destinate a fallire nonostante i loro tentativi di riscatto, soffocando costantemente le loro azioni e le loro speranze fino al catartico finale, carico di feroce e surreale violenza.
Parallelamente alle vicissitudini del singolo, l’autore insinua l’ulteriore incongruenza che caratterizza il sistema mediatico, intriso di sensazionalismo nel suo descrivere gli ex detenuti come belve feroci, incrementando quella netta contrapposizione che distanzia il contenuto delle immagini dal loro commento. È ciò che accade in particolar modo ai personaggi di Kazuma, lo spietato biker dal bon ton impeccabile, e Ushiyama, il sociopatico che desidera più di ogni altra cosa diventare un cameriere e perseguire l’illusione di una vita normale, nonostante le brutture e le violenze con le quali viene stigmatizzato. All’influenza del potere mediatico si affiancano l’avidità e il capitalismo imperante, iconicamente personificati da Noburo che, ereditato il patrimonio paterno, ha trasformato la compagnia finanziaria in una parodia musicale promuovendo prestiti con spot dalle sonorità rap, disattendendo le aspettative di Michiru, in accordo con il quale avrebbe dovuto predestinare i fondi all’edificazione di un nuovo istituto educativo. L’attenzione verso la sfera adolescenziale e la sua formazione attraversa indirettamente l’intera pellicola, mettendo in evidenza come il regista sceneggiatore punti il dito contro la trascuratezza con cui la collettività affronta tali delicate tematiche. Michiru e i suoi giovani compagni si sentono estranei ad una società che non gli appartiene e che non è in grado di perdonarli; anche Torakichi, sebbene distante negli anni, nel suo tentativo di riavvicinamento sarà duramente respinto dalla figlia. Persiste in loro la percezione di un vuoto e la necessità continua di doversi operare al fine di ottenere un cambiamento: «chiunque è in grado di cavarsela» confida il saggio Shiratori ad un disilluso e rassegnato Torakichi, conscio del suo fallimento come padre e come uomo, ma forse ancora in tempo per comprendere il bisogno di Michiru ed intervenire in suo soccorso.
Il costante incedere a cui Toyoda sottopone i suoi personaggi è caratterizzato da un ampio uso di piani sequenza in movimento, carrellate e panoramiche aeree che relazionano il soggetto all’ambiente, facendo in modo che esso possa percorrerlo in tutta la sua ampiezza modificandolo, colmandolo e svuotandolo perennemente. Il piano sequenza in campo lungo, che con l’enfasi del ralenti descrive la corsa a perdifiato dei nove fuggitivi appena evasi, è certamente una delle sequenze più affascinanti del film. L’avanzata rocambolesca e tracollante, che conduce i protagonisti dalla profondità del piano in prossimità dei margini dello schermo, assume le valenze di una coreografia che amplifica e spettacolarizza l’atto della corsa in un forsennato riversarsi dei suoi soggetti nel mondo. L’uso di una sintassi marcata risulta predominante, analogamente, nelle sequenze di maggiore intensità emotiva, sottoponendo lo spettatore ad una sensazione dilatata del tempo e del rapporto affettivo di percezione dell’evento stesso. Dallo slow motion,Toyoda passa alla camera a mano e al piano fisso in campo lungo con soggetti posti ai margini del quadro (come nell’incontro di Kamei con l’ex fidanzata), per giungere al sovraccarico motion blur(in un sovrapporsi di frames che ristagnano l’uno sull’altro, sfocando la continuità del movimento)  nel drammatico passaggio di autoflagellazione di Ushiyama, concludendo ogni segmento con la proposizione insistita di panoramiche dall’alto e quadri a piombo che gravitano e premono sui personaggi, circoscrivendone l’isolamento. La regia si rivela dunque in grado di esprimere una propria poetica distintiva, dando vita a frequenti richiami e raccordi interni simbolicamente densi e non di rado inattesi: il germogliare della natura in relazione alla violenza della morte, la vastità del cielo e il trasformismo delle sue nuvole ad indice di un incessante cambiamento che trova ricongiungimento nella vita dell’individuo.
Con 9 Souls, Toyoda sembra portare a termine la sua disamina di personalità maschili disadattate e violente, proseguendo un percorso intrapreso cinque anni prima con Pornostar (1998) e continuato, successivamente, con Blue Spring(2002). Sebbene il film sia gravido di tematiche e contenuti non sempre elaborati, il suo autore dimostra una pregevole maturità artistica, evidenziando un’indubbia capacità di dirigere in modo convincente e innovativo un’opera complessa e corale, mantenendo saldo un ritmo incalzante che assimila compiutamente il sorriso all’amarezza e la spensieratezza giovanile e ribelle alla dolente e disincantata coscienziosità dell’età adulta [Luca Calderini].
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