Mitsuo no kuri (Last Chestnuts)
Mitsuo no kuri (光男の栗, Last Chestnuts), Regia e sceneggiatura: Zhao Ye; fotografia: Nakano Hideyo; luci: Yamamoto Kōsuke; interpreti: Momoi Kaori, Dodo Setsuko, Uda Shigeki; produzione: Kawase Naomi; durata: 60’; 2010.
Punteggio ★★★1/2
Last Chestnuts, scritto e diretto in Giappone dal regista cinese Zhao Ye con produzione, interpreti e staff locali, nasce in seno al progetto NARAtive, un’iniziativa del Nara International Film Festival il cui scopo è promuovere, attraverso il cinema, il fascino della prefettura di Nara. Fortunatamente, a dispetto delle premesse, questo breve film prodotto da Kawase Naomi ha ben poco di “turistico”, dato che si svolge quasi interamente lungo le strade di un’anonima cittadina le cui potenziali bellezze naturali, offuscate dalla spoglia atmosfera invernale, sono quasi tenute nascoste nel fuori campo, se non nella scena conclusiva. Ciò non significa che l’elemento geografico non svolga un ruolo preminente nell’economia del film, anzi: se in un primo tempo si è portati a pensare che l’oggetto della ricerca della protagonista sia il figlio scomparso, allorché ci viene svelato che questi è in realtà già morto, ci rendiamo conto che è lo stesso scenario in cui si svolge tale ricerca (un villaggio della prefettura di Nara individuato e scandagliato attraverso fotografie scattate dal giovane nei suoi ultimi giorni di vita), così come le persone che lo popolano e l’atmosfera che lo anima, a costituire lo scopo ultimo della struggente “caccia al tesoro” della donna. Le “ultime castagne” del titolo internazionale, dunque, si pongono come una metafora degli ultimi barlumi di esistenza del ragazzo, tracce ancora fresche che la donna cerca disperatamente nella memoria del luogo ripercorrendo passo dopo passo il viaggio da cui il figlio non ha fatto ritorno. Vi sono molti aspetti, in quest’opera dall’aspetto scarno ma di grande impatto emotivo, che ricordano il cinema della stessa Kawase (citato esplicitamente nel cammeo di uno degli attori di The Mourning Forest): ad esempio, temi quali la maternità, la scomparsa di un figlio, la morte, la malattia, la memoria e la sua registrazione, il Giappone rurale, l’intimo rapporto con la natura e le stagioni, un senso di mistero sovrastante. Pur essendo meno marcato l’afflato mistico che spesso caratterizza i film della cineasta giapponese, il registro più asciutto adottato da Zhao Ye non manca di cogliere, con ammirevole sobrietà, il coinvolgimento di qualcosa di più grande nell’intima tragedia dei protagonisti. Ne percepiamo la palpabile presenza nell’operato di una comunità che partecipa materialmente ed emotivamente alla dolorosa ricerca della donna, così come lo avvertiamo in una natura che, attraverso il frastuono assordante del vento e del fiume, di quando in quando irrompe prepotentemente nell’inquadratura come a commentare il senso di smarrimento dei protagonisti di fronte a eventi inaccettabili. Ottima prova d’attrice di Momoi Kaori, nel ruolo della protagonista. [GC- 28° Torino Film Festival, dicembre 2010]
Anch'io – pur non idolatrando la Kawase – sono stato molto colpito dal film a partire dall'intensità della sua protagonista. Ho apprezzato molto la sua struttura narrativa, quasi da film di suspense, che solo poco alla volta ci pemette di scoprire la realtà dei fatti. Molto efficace anche il modo con cui sono dipinte le diverse reazioni dei personaggi agli incontri con la protagonista: dall'indifferenza alla partecipazione più sentita. Certo un piccolo film ma la dimostrazione che il bel cinema si trova più fuori dal mondo degli effetti digitali che dentro.