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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Surely someday

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Surely someday. Regia: Oguri Shun; sceneggiatura: Mutō Shōgo; interpreti: Keisuke Koide, Ryō Katsuji, Gō Ayano, Ryōhei Suzuki, Tsuyoshi Muro, Konishi Manami; durata: 122’; prima 17 luglio 2010.
Links: Sito ufficialeMark Schilling (Japan Times)
PIA: commenti: 3,5/5  all’uscita delle sale: 66/100
Punteggio 1/2   
Questo film è un tipico esempio di seishun eiga. Per capirne le intenzioni occorre comprendere le ragioni del genere. Mark Schilling, nella sua recensione per il Japan Times, dà una definizione così chiara del termine che mi pare opportuno tradurla:
“Il seishun eiga (youth movie) è un importante e duraturo genere del cinema giapponese che non ha un corrispondente esatto in occidente. La differenza non sta tanto nel tema in quanto tale – film sui giovani ci sono anche a Hollywood – ma piuttosto nella quantità e nell’approccio. L’industria giapponese dello spettacolo produce ogni anno dozzine di questi film e tutti, anche quelli che non sono esplicitamente nostalgici, tratteggiano gli anni del liceo come un periodo speciale della vita che non si ripeterà o verrà mai più eguagliato. Da un certo punto di vista, i personaggi hanno quella sorta di purezza e libertà che spesso scompare nell’età adulta, con i suoi compromessi e le sue restrizioni.  “Ho raggiunto il meglio negli anni del liceo” sarebbe un’ammissione di sconfitta per un americano ma in un seishun eiga è spesso un’assunzione di base, dove “il meglio” è definito più dal punto di vista emotivo che in termini di mete o status, come per esempio il primo amore o la vittoria nel grande incontro.”
Fin qua andrebbe tutto bene, ed effettivamente vi sono vari esempi di film del genere che si distinguono per sensibilità ed atmosfera. Purtroppo, però, nella maggior parte dei casi un seishun eiga viene fatto non tanto per celebrare le labili e affascinanti anse emotive dell’adolescenza, quanto piuttosto per richiamare e blandire i giovani e i maschi adulti immaturi come pubblico pagante. Ciò ha alcune conseguenze ricorrenti per assicurare la resa del prodotto: uno stile il più semplice, reboante e movimentato possibile; un tipo di recitazione iperdrammatizzata, urlata, che richiama i manga (il pane con cui è cresciuto quel tipo di pubblico); la presenza di attori provenienti dai drama televisivi o di idoli appartenenti a gruppi musicali.
Surely someday appartiene così costituzionalmente al seishun eiga così inteso, che il suo stesso regista, Oguri Shun, è un attore, diventato il beniamino dei teenager con il drama televisivo Hana yori dango e poi con Crown zero, il film che, complice, ahimé, Miike Takashi, esalta il machismo studentesco.
La storia è quella di cinque liceali appartenenti a un complesso rock i quali, vedendo impedito il loro concerto, occupano il liceo e, involontariamente, lo mandano a fuoco. Vengono sospesi e si ritrovano tre anni dopo, tutti più o meno in condizioni fallimentari. A complicare le cose intervengono l’immancabile conflitto con la yakuza, una donna enigmatica (la vacua e insignificante Konishi Manami), le interrelazioni con un musicista di strada, il padre di uno dei cinque che fa il poliziotto (un Takenaka Naoto meno eccessivo del solito). Dopo varie peripezie, tutte stupidamente fracassone e goliardicamente indolori, i cinque riscoprono insieme lo spirito di “allora” e capiscono che quella è la cosa più importante. Fine. Tanto testosterone dilapidato in inutili dialoghi gridati e azioni concitate (in questo, la palma va all’insopportabile Katsuji Ryō), nessuna analisi, nessuna psicologia. E tanto basta, pare, al regista e agli spettatori giapponesi.
A conferma di quanto questo tipo di prodotti sia importante nell’industria dello spettacolo giapponese, basta guardare i nomi degli attori che recitano dei camei e che da soli costituirebbero un grande cast: Inoue Mao, Aya Ueto, Tsumabuki Satoshi, Sasano Takashi, Endō Ken’ichi e, francamente sprecata, la grande Ootake Shinobu. [FP]
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