Synchronicity shinjū tenshi
Synchronicity shinjū tenshi (Synchronicity 心中天使). Regia e sceneggiatura: Ichio Naoki; interpreti: Ono Machiko, Kaku Tomohiro, Kikuzato Hikari, Kunimura Jun; durata: 92’; prima: 5 febbraio 2011
Link: Sito ufficiale – Nicholas Vroman (Toronto J-Film Pow Wow)
PIA: commenti 2,5/5 All’uscita delle sale: 48/100
Punteggio ★★★
E’ sempre una buona cosa poter vedere un film che si distacca dai canoni, anche autoriali, che vanno per la maggiore. Non tanto perché l’originalità sia in sé una qualità, dio ci salvi dagli “originali”, quanto piuttosto perché tali opere, indipendentemente dalla loro riuscita, riescono a decentrarci per un attimo, deterritorializzando il cinema da se stesso. Uno di questi film, anche se solo in alcune parti, è Synchronicity di Ichio Naoki, già autore nel 2001 di Oboreru hito (A Drowning Man).
Difficile riassumere la trama, visto che fino alla fine, e anche oltre, non si sa esattamente che cosa succeda. Il film inizia con lo svenimento dei tre protagonisti, un’adolescente, un ragazzo ed una ragazza, che non si conoscono tra di loro, in tre luoghi diversi di una stessa città. Prosegue poi seguendo separatamente le storie dei tre, trasformate da questo evento, un “qualcosa” che ha gettato scompiglio nelle loro vite, un qualcosa che viene probabilmente dal cielo, o quantomeno dall’alto. Tutto ciò è solo abbozzato, suggerito dai comportamenti dei tre personaggi che si muovono in maniera quasi catatonica, sempre assorti in qualcosa di altro, sempre sul punto di ricordare qualcosa che credono di aver dimenticato oppure alla ricerca di una tonalita’ di blu che si accordi con il sentire (è questo, per esempio, il caso del ragazzo). Il tono generale è ultra minimalista, con qualche situazione che più che surreale definirei onirica, il tutto esasperato da un ritmo lentissimo e reso più teso da una musica sommessa di pianoforte.
L’idea e il coraggio di Ichio sono buoni: cercare di trasmettere delle sensazioni, qualcosa che sfugge al dominio della parola e dell”immagine stessa; la percezione che la realta’ sia molto più vasta, ricca e complessa. C’è sicuramente in lui un intento metafisico, ed è ciò che fa dire ripetutamente ai protagonisti che gran parte del nostro mondo è popolato di spettri (yūrei). Così come c’è una tematica angelica che corre lungo tutta l’opera. Fin dai titoli di testa, ma anche nell’ossessivo volgere lo sguardo dei protagonisti verso l’alto e in una bellissima scena in cui sulla schiena di una protagonista assorta nel letto si nota un movimento sotto le coperte, sembrano quasi spuntare delle ali di angelo. Poi, però, spunta il gatto, l’animale che simbilicamente riveste un’importanza fondamentale per il significato del film.
Dopo la prima mezz’ora il film tende un po’ a trascinarsi ma si riscatta negli ultimi venti minuti, sicuramente la parte migliore, quando raggiunge il suo apice e la trama si risolve, o meglio, complicandosi, rivela progressivamente il nocciolo della storia. Formalmente Ichio avrebbe potuto osare di più, lavorare di più sui colori e sulla fotografia o ancora sulla musica, magari inserire movimenti di camera, qui quasi completamente assenti. Nel complesso, un film che si fa apprezzare per la scelta tematica e per l’approccio, e che potenzialmente poteva, e forse potrebbe ancora essere, un film alla Oguri Kōhei. Un film forse d rivedere. [MB]
Caro Franco,
in primo luogo ti ringrazio per le tue recensioni. Mi sono da poco avvicinato al cinema orientale grazie ad un corso Aiace di Dario Tomasi ed è stata una bella scoperta. Una domanda: in che modo riesci a vedere questi film? Sei in Giappone oppure tramite web?
Grazie,
Gian Piero
Caro Gian Piero, grazie a te.
Vivo in Italia e riesco a vedere i film tramite web e qualche acquisto di dvd. In certi casi mi spedisce la recensione qualche amico dal Giappone (come per esempio "Synchronicity") o da un festival (per esempio Berlino).
Franco