Vampire
Vampire. Regia, soggetto, sceneggiatura, fotografia, musica: Iwai Shunji; interpreti: Aoi Yū, Kevin Zegers, Keisha Castle-Hughes, Amanda Plummer; durata: 120′ – 2011 – 61th Berlin International Film Festival
Link: Berlinale-Catalogo – Antonio Cuomo (movieplayer.it)
Punteggio ★★
Chi volesse richiamare alla memoria la figura del vampiro mostro affascinante che si muove libero sul confine tra il mondo onirico e quello della realtà, o che seduce con il suo fascino dandy, avvolto in mises da damerino vittoriano, non lo faccia. E neppure si pensi che in questo film si evochi un vampiro calvo e maligno, rappresentazione fisica di perversione sessuale… No, niente di tutto questo. I mitici predecessori, da Vampyr di Dreyer e Nosferatu di Murnau, fino alle figure demoniache e sexy di Herzog e Coppola, sembrano ben lontani dalla mente del regista. Ed in effetti è lo stesso Iwai Shunji che svela come il progetto fosse nato per un film su aspiranti suicidi, tema ritenuto poi dalla produzione troppo provocatorio per il pubblico giapponese, “mescolato” quindi più tardi all’idea di un vampiro “umano”.
Simon, che ha il volto di Kevin Zegers, è un vampiro come non se ne erano visti finora. Espressione del suo/nostro tempo, si potrebbe azzardare. E’ del tutto umano, è un bravo ragazzo che divide la sua vita tra l’insegnamento e la cura di una madre affetta da alzheimer (interpretata da Amanda Plummer), discretamente sfigato nelle sue imprese, senza la forza di opporsi ad una donnetta intrigante che gli piomba in casa e nella vita (con una certa tristezza apprendiamo che la classica crisi del maschio che non sa confrontarsi, ecc. ecc., è condivisa dai vampiri…). Ma – analogia determinante con gli altri vampiri, l’unica sembrerebbe – Simon ha bisogno di bere sangue. E lo fa buttandosi in rete alla ricerca di giovinette aspiranti suicide che poi tenta, con alterne fortune, di convincere a farsi salassare.
Con quest’opera, la prima in inglese, di produzione americana, giapponese e canadese, Iwai torna alla regia dopo sette anni da Hana to Arisu (Hana & Alice), se si esclude il documentario realizzato nel 2006 su Ichikawa Kon. I toni sono quelli patinati e sognanti che ricordavamo, le immagini curate (lo stesso regista ha diretto la fotografia, ed ha anche composto la colonna sonora). Gli scenari sono i boschi canadesi che, pare, ricordino quelli dell’Hokkaidō, o anche i piovosi esterni urbani, nei quali si muovono queste figure di adolescenti belli come modelli, più irreali dello stesso Simon il vampiro, che hanno nomi come Jellyfish o Ladybird. Siamo approdati a Twilight e True Blood… Però a ben vedere emergono tematiche forti anche dalle atmosfere sognanti, così come già accadeva negli ultimi film di Iwai, ad esempio All About Lily Chou-Chou del 2001. Si parla di adolescenti nichilisti che cercano una porta virtuale – la rete – che permetta loro di farla finita con il vuoto abissale della vita reale. Si parla, soprattutto, di incomunicabilità. La madre-presenza di Simon, che quasi non parla, è simbolicamente sospesa da enormi palloni bianchi che la isolano da terra. Lei è il vero totem della comunicazione mancata e oramai impossibile.
Il film si snoda mollemente in un percorso di simboli, solo ad un certo punto una sferzata di violenza fa immaginare allo spettatore un brusco cambio di rotta: Simon si accompagna per una notte ad un gruppo di esaltati pseudo vampiri e ad uno in particolare al quale farà da testimone durante un brutale stupro omicida nei confronti di una malcapitata sconosciuta. Ma è solo un attimo e, a dir la verità, pare avulso dal resto del film. Nel finale, con apprezzabile ironia, il regista ci offre il suo vampiro addirittura donatore di sangue, per salvare la vita ad una giovane allieva. Lei, nel celebrativo ribaltamento/citazione, si chiama Mina, proprio come la donna amata da Dracula che per amore del mostro cede alla tentazione e si lascia vampirizzare. [CB – 61th Berlin International Film Festival – 2011]
Ne avevo sentito parlare ma non avevo ancora letto nulla al riguardo… uhm, non so, queste recenti incursioni vampiresche da parte di autori orientali (vedi il caso di Thirst) mi lasciano una certa perplessità. Vedremo. ciao, c
Sì, anche a me non pare molto interessante. Peraltro, Iwai Shunji ha fatto alcuni bei film di genere ben diverso. Strano questo suo ritorno "fuori tema"…
La figura del vampiro nel cinema mi affascina sempre, qui ho apprezzato l'originalità della versione (il vampiro sfigato), ma forse è bene tenere conto che il progetto del regista per il film era nato con altri presupposti. Iwai Shunji me lo ricordo soprattutto per Love Letter, che mi era tanto piaciuto. Sono d'accordo comunque: stiamo a vedere cosa deciderà di fare dopo questo "rientro".
Claudia
Il film non l'ho visto però mi unisco alle preplessità. Oltre alla corsa al tema dei vampiri (giovani, belli e poco dannati) c'è anche quella all'avventura americana (che di solito non porta bene per i registi orientali, salvo John Woo e pochi altri).