Yagi no bōken (The Catcher on the Shore)
Yagi no bōken (やぎの冒険, The Catcher on the Shore). Regia: Nakamura Ryugo; interpreti: Gima Seima, Taira Susumu, Uehara Soji, Yoshida Taeko; durata: 84′; prima: 18 settembre 2010.
Links: Sito ufficiale – Asahi Shinbun – Chris Magee (Toronto J-Film Pow-Wow)
PIA: Commenti: 3/5 All’uscita delle sale: 58/100
Punteggio ★★1/2
Yagi no bōken è un film realizzato nel 2010 dal quattordicenne Nakamura Ryugo nella sua natia Okinawa, protagonista di questo lavoro con i suoi paesaggi e la sua vita ancora molto legata ai cicli di una natura “barbarica”. Il film, dopo aver raggiunto una discreta popolarità nella terra del giovane regista, è approdato nelle sale nazionali in questo 2011. Ci racconta la storia di uno studente di scuola media di Naha che va a passare alcuni giorni dai nonni in campagna – ricordiamoci che siamo a Okinawa e quindi campagna significa “natura selvaggia”. Qui la vita è ancora dominata in maniera evidente da ritualità tradizionali che scandiscono il passare delle stagioni.
I nonni e il figlio sfaticato hanno due caprette a cui il ragazzo si affeziona subito. Ben presto, però, una sarà venduta e mangiata: le precarie condizioni economiche del luogo formano un sostrato che corre lungo tutto il film e che avvicina per necessita’ la vita del villaggio ai ritmi naturali. Sebbene sotto shock per la “violenza” cui ha assistito, il ragazzo non si arrende e cerca di salvare l’altra capretta ma questa fugge nel verde.
Comincia così una comica rincorsa di tutti, zio, vicini, ragazzi di passaggio che diventerà verso la fine del film per il ragazzo e suo il suo cugino “selvaggio” un tuffo dentro la parte oscura e violenta che regola la vita e dentro il sacrificio che sta alla base della moderna civiltà la verità tanto banale quanto ineluttabile che sopravvivere significa uccidere.
Che ci si deve aspettare da un film diretto da un quattordicenne? Questa è la domanda che ci si dovrebbe fare prima di entrare in sala. Se ci si aspetta una storia complessa, con scavo nel carattere dei personaggi e originalità narrativa, si rimane indubbiamente delusi. Se invece ci si abbandona sulla poltrona del cinema con una buona predisposizione d’animo per accogliere la visione come si coglie un fiore selvatico o si gusta il volo di un uccello, allora il discorso cambia. Perché il merito di questo lavoro è senza dubbio la freschezza, sia nel raccontare una storia che abbiamo già visto e letto innumerevoli volte, sia nell’esplorazione dei paesaggi di una Okinawa mai così agreste e ai confini del mondo.
L’andamento circolare del film che si chiude felicemente così come si era aperto con la scena del cugino che porta in braccio la capretta. Alcune scelte stiliatiche molto azzeccate fanno però sorgere alcuni dubbi riguardo agli effettivi meriti del giovane regista: dove cominciano e dove finiscono cioè le sue idee e dove iniziano quelle dei suoi collaboratori professionisti che hanno curato fotografia, sceneggiatura e tutto il resto? [MB]