Noruwei no mori (Norwegian Wood)
Noruwei no mori (ノルウェイの森, Norwegian Wood). Regia e sceneggiatura: Tran Anh Hung; soggetto: dall’omonimo romanzo di Murakami Haruki; musica: Jonny Greenwood; interpreti: Matsuyama Ken’ichi, Kikuchi Rinko, Mizuhara Kiko, Tamayama Tetsuji, Kirishima Reika, Kōra Kengo, Hatsune Eriko; durata: 133′; prima: 11 dicembre 2010.
Link: Sito ufficiale – Trailer (Youtube) – Mark Schilling (Japan Times) – Lindsay Nelson (Midnight Eye) – Chris MaGee (Toronto JFilm Pow-Wow)
PIA: Commenti: 3/5 All’uscita delle sale: 61/100
Punteggio ★★
Trasporre su pellicola uno dei best-seller giapponesi più amati in tutto il mondo è un’impresa che richiede un certo coraggio di cui bisogna dare senz’altro atto al regista de Il profumo della papaya verde, Cyclo e Solstizio d’estate. Tanto più se si tratta di un romanzo che mal si presta a operazioni di questo tipo: come suggerisce Mark Schilling nella sua recensione per il Japan Times, ne è la prova il fatto che in circa venticinque anni nessun altro abbia osato cimentarsi nell’impresa, a dispetto dei milioni di copie vendute. Da questo punto di vista, il film di Tran Anh Hung ha il pregio di non scadere in una traduzione letterale a tutti i costi, senza per questo avventurarsi in un rischioso (data la celebrità dell’opera) stravolgimento personale della fonte d’origine. Norwegian Wood riesce a essere fedele all’intreccio e, pur in misura minore, alle atmosfere che si respiravano nel romanzo, né, al contempo, si sforza di includervi a tutti i costi gli aspetti più puramente letterari (tanto per fare un esempio, la voce off del protagonista sostituisce l’io narrante del romanzo con relativa parsimonia). Tuttavia, se così facendo il regista franco-vietnamita si libera in parte della presenza ingombrante dello stesso Murakami e dei suoi brillanti alter ego, d’altro canto si dimostra incapace di compensarne l’assenza traducendo in un linguaggio cinematograficamente efficace il flusso di pensieri, che dà forma al libro, del protagonista Watanabe. Il risultato è un’opera monca, evirata in larga parte del suo stesso personaggio principale, in quanto nel processo di svuotamento letterario della figura di Watanabe si finisce per perdere quasi per intero il personaggio, il quale, nonostante la prova apprezzabile di Matsuyama Ken’ichi, ci risulta inevitabilmente opaco, estraneo, inespressivo, enigmatico, privo di spessore e sapore. Persa l’empatia caratteristica del tipico eroe alla Murakami, resta un involucro belloccio che vaga per paesaggi di straordinario fascino mantenendo per tutto il film le stesse espressioni di malinconia, rimpianto e stupore. In alcune sequenze tale approccio conferisce alla pellicola un sapore di astrazione che potrebbe anche rivelarsi azzeccato, stimolante e positivamente personale, se non fosse che, con il passare dei minuti, il film viene sempre più schiacciato dalla smania di perfezione estetica del suo autore. Perché in definitiva, la distanza che avvertiamo separarci dal protagonista contribuisce, insieme alla confezione eccessivamente lussuosa della pellicola, a rendere Norwegian Wood un film patinato, freddo e noioso. La superba fotografia di Ping Bin Lee (In the Mood for Love, Millenium Mambo), gli archi solenni della colonna sonora firmata da Jonny Greenwood dei Radiohead (che non ripete il miracolo de Il petroliere), i lenti e sinuosi movimenti di macchina che pervadono l’intero film, le voci carezzevoli e vellutate degli interpreti, e infine la ricostruzione fighettamente vintage (ma poco credibile) del Giappone anni Sessanta che prende vita nelle scenografie e nei costumi, concorrono soltanto a fornire alla pellicola un aspetto leccato, pubblicitario, più consono a una rivista di moda o d’arredamento.
A tratti si ha quasi l’impressione che Tran Anh Hung volesse girare una specie di In the Mood for Love (e poteva essere effettivamente l’approccio migliore), ma che, partendo da ingredienti in un certo senso simili a quelli del film di Wong Kar-wai, sia riuscito a ricavarne soltanto un’opera frigida come la protagonista femminile Naoko. Un’opera che, pur contando diversi elementi di pregio (se presi singolarmente), fallisce nell’insieme. E questo nonostante alcune sequenze, come quella dell’incontro tra i due protagonisti ripreso in campo lungo in uno scenario innevato, risultino effettivamente appaganti.
Per concludere, una menzione particolare lo meritano le attrici: Kikuchi Rinko è assolutamente convincente nella parte della tormentata Naoko, mentre l’esordiente Mizuhara Kiko, giovane modella dal volto insolito che ricorda vagamente Aratama Michiyo, rivela sorprendenti doti di naturalezza e sensualità. [Giacomo Calorio]
Totalmente d'accordo. Come già avevo brevemente accennato pure io… un film potenzialmente buono ma che non si apre abbastanza, rimanendo quindi un po' chiuso nel suo ineccepibile ritratto formale. ciao, c
Siamo sempre in sintonia …