Zeburâman: Zebura shiti no gyakushū (Zebraman 2: Attack on Zebra City)
Zeburâman: Zebura shiti no gyakushū ( ゼブラーマン ゼブラシティの逆襲 , Zebraman 2: Attack on Zebra City). Regia: Miike Takashi; sceneggiatura: Kudô Kankurô; fotografia: Tanaka Kazushige; scenografia: Sakamoto Akira; montaggio: Yamashita Kenji; musica: Ike Yorihiro, Ike Yoshihiro; interpreti: Aikawa Shō, Naka Riisa, Abe Tsuyoshi; produzione: Central Arts, Toei Company, TBS; produttori: Hattori Akio, Hirano Takashi, Okada Arimasa, Okada Makoto; durata: 106’; prima:1 maggio 2010
Punteggio ★★★1/2
Quando nel 2004 uscì il primo capitolo di questa breve saga, Miike Takashi si stava accingendo al grande balzo nel mondo mainstream. Passaggio che avvenne probabilmente con Yōkai Daisensō dell’anno seguente. Dopo quell’ episodio Miike non sarebbe stato più lo stesso. Abbracciati i canoni del prodotto per le masse e dei blockbuster, avrebbe ridotto il numero di film girati in un anno (mantenendo comunque sempre una media ragguardevole) per dedicarsi a progetti più ambiziosi, complessi e sicuramente remunerativi. Eppure i vari Yattaman, Crows Zero I e II, Tayō no kizu e Tantei monogatari su tutti (per citarne solo alcuni) avevano mantenuto, in parte, riconoscibilissimi i tratti dell’autore.
Con il sequel di Zebraman, Miike si discosta così dal suo predecessore prima di tutto a livello visivo. Questo aspetto influenza più di qualunque altra cosa il risultato finale e di conseguenza la fruizione dello spettatore.
Il primo film con protagonista Aikawa Shō era un romantico omaggio agli Hero Mono (serie televisive di supereroi nipponiche in voga dalla fine degli anni sessanta) e, con il suo budget ridotto, e la sua filosofia del credere in sé stessi, rendeva questo omaggio ancor più sincero e sentito.
In Zebura shiti no gyakushū (ambientato quindici anni dopo il primo capitolo) questo aspetto è andato perduto del tutto. Tutto questo a fronte di un impiego notevole di effetti speciali di alto livello, all’ingaggio di moltissime comparse per girare alcune sequenze, e ad un look generazionale e perfettamente in linea con le mode giovanili. Come per i due Crows Zero, poi, si trovano strizzate d’occhio al mondo dei videoclip, che tanto influenzano i giovani nelle proiezioni in strada sui grattacieli di Shibuya.
Meravigliosa, invece, l’idea dello zebra-time, in quella che il regista descrive come una società tirannica e futurista; così come lo sdoppiamento dell’icona Zebraman, in bianco e nero (buono e cattivo), dove la parte malvagia tocca ad una donna.
Tali scelte rendono un po’ fine a sé stesso il mondo che si era creato nel primo film (assorto, minimale, diciamo pure quasi b-movie): si viene investiti da un’iperbole di suoni, luci e colori che trovano coronamento negli abiti sfarzosi e sopra le righe di Zebra Queen, ma anche nel comportamento del personaggio stesso.
Miike e Kudō Kankurō (lo sceneggiatore), tuttavia, sono comunque riusciti a mantenere la citazione ed il riferimento agli Hero Mono, così come hanno ritenuto opportuno sottolineare come l’eroe del secondo film, provenga dal passato. Un passato ideale, genuino ed incontaminato dalle follie architettoniche, tecnologiche ed umane che affollano questo tirannico futuro.
Eppure, anche in questo caso, siamo di fronte ad un risultato (visivo, di sceneggiatura e di costumi in genere) distante anni luce dai più noti film sui supereroi a stelle e strisce. Questione culturale, certamente.
L’universo manga (oltre che il già citato mondo dei supereroi televisivi giapponesi) resta la matrice basilare per l’ispirazione di un film come questo, andando a toccare i livelli visivi, ma anche di risoluzione della trama, in modo più che naturale ed intrinseco.
La folle idea che caratterizza l’epilogo, grazie alla quale si arriva alla sconfitta (ovvia, ma come potrebbe essere altrimenti) dell’alieno di turno, è segno che la follia di Miike può resistere anche in un contesto simile, come già ha perdurato negli altri sopracitati film.
Certo non si è più d’innanzi ad un lavoro completamente iconoclasta (come furono Dead or Alive, VisitorQ e molti altri), ma ad un vivido esempio di narrativa iconoclasta camuffata da prodotto per le masse [Fabio “Ichi” Rainelli].
Caro Fabio, benvenuto in Sonatine. Nel ricordo un po' vago che ho del film mi sembra che nel protagonista si trovino delle tracce piuttosto evidenti di quelle anime ferite che contrasgnavano, almeno in parte, i film più belli e sentiti del regista. Ma forse è solo una mia impressione.
Grazie per il benvenuto!
Concordo quando dici che possono esserci analogie, con le dovute differenze, tra alcuni personaggi dei film più datati di Miike e l' Aikawa Sho dell'ultimo Zebraman. Il non essere a casa propria, il non provenire dalla dimensione temporale della storia narrata, avvicina questo protagonista ai vari protagonisti della trilogia sulla Mafia Cinese, a quelli di Bird People in China e Guys from Paradise, ma anche in un certo modo ad Izo, per citare solo i primi venutimi in mente.