Danchizuma hirusagari no jōji (Housewife’s Afternoon Delight)
Danchizuma hirusagari no jōji (団地妻 昼下がりの情事, Housewife’s Afternoon Delight). Regia: Nakahara Shun; sceneggiatura: Yamada Kota; interpreti: Takao Sakiko, Miura Masaki, Endō Masashi; durata: 70′; prima: 13 febbraio 2010.
Link: Mark Schilling (Japan Times) – The Tokyo Reporter
PIA: Commenti: 3/5 All’uscita delle sale: 60/100
Punteggio ★★1/2
Nel 2010 la Nikkatsu ha provato a rilanciare il genere roman porno con due film usciti in contemporanea e in alcuni casi proiettati insieme. Uno è Ushiro kara mae kara (già segnalato) e l’altro è quello qua recensito. A differenza del primo, Danchizuma è un film vero e anche abbastanza interessante, dove le tematiche erotiche sono funzionalmente ben collegate agli altri aspetti della storia raccontata. D’altra parte il regista è un professionista, se non un autore vero e proprio. Nakahara, infatti, pur avendo esordito come regista di roman porno proprio con la Nikkatsu, ha firmato già nel 1990 il significativo Sakura no sono (rifatto da lui stesso nel 2008), per poi proseguire con una serie di lavori spesso interessanti, fra cui Konsento, Déracine, Ichigo no kakera.
Danchizuma riprende a modo suo il primo roman porno realizzato dalla Nikkatsu, che aveva lo stesso titolo ed era firmato da Nishimura Shōgorō (1971). La storia è molto semplice, vista e rivista tante volte ma l adiffernza la fa il regista. Una coppia come tante, anonima. Lui salaryman, lei casalinga. Vivono in un enorme caseggiato popolare di periferia, popolato di altre persone come loro. Lui lavora tutto il giorno, spesso la sera, qualche volta anche la notte; lei sta a casa, lo aspetta, si annoia. Non riescono ad avere figli; quando ci provano lei è totalmente assente, lui si stufa a metà del rapporto sessuale. In questo deserto emozionale arriva un venditore di filtri per l’acqua, lei ne è attratta, scoppia la passione. La riscoperta del corpo, del piacere di giocare, dell’esistenza delle sensazioni fisiche. Il senso di colpa è però più forte: dopo poco lei confessa tutto al marito. Crisi, rientro nella normalità, trasferimento al paese natale di lui, che nel frattempo ha perso il lavoro.
La storia è molto semplice, vista e rivista tante volte ma la differenza la fa il regista. Nakahara è bravo ad adottare un taglio totalmente privo del finto glamour e della licenziosità tipici del genere, senza per ciò scadere nello squallore. Al contrario, il suo approccio verosimile nel rappresentare vuoti esistenziali riesce a conferire effettivo erotismo alle scene. Il sesso viene così a essere un momento fugace di liberazione all’interno di dinamiche di solitudine estrema, un sasso nello stagno delle emozioni congelate, che però si richiude subito dopo. Tutti i personaggi sono e restano dei perdenti, ma senza alcuna retorica. Così è la vita. [Franco Picollo]