Milorcrorze: a love story
Milocrorze: a love story (ミロクローゼ: a love story, Milocrorze: A Love Story). Regia e sceneggiatura: Ishibashi Yoshimasa; fotografia: Oyamada Katsuharu; interpreti: Yamada Takayuki, Maiko, Ishibashi Anna; Suzuki Seijun, Harada Mieko, Okuda Eiji; durata: 90′; uscita: 2011- Link: Stan Glick (Vcinema)
Punteggio ★★★
Fiaba psichedelica visionaria e irriverente sull’amore nelle sue diverse declinazioni, da quella romantica a quella strappacuore (nel senso letterale del termine), a quella ostinata e folle: tutto è folle in effetti in Milocrorze: a Love Story, opera antologica di Yoshimasa Ishibashi, giovanissimo regista, ma soprattutto video artist, già noto per gli irriverenti clip della serie televisiva giapponese “Vermilion Pleasure Nights”.
Il “trittico” di storie inizia con quella del bambino Ovreneli Vreneligare (il cui nome viene ripetuto di continuo da una voce fuori campo, per il tormento e il ludibrio del pubblico), che ai giardinetti, intento a gustare il suo yogurt, incontra la bellissima Milocrorze (interpretata dalla modella diventata attrice Maiko) e se ne innamora perdutamente; il bambino in questione ha un improbabile caschetto di capelli rossi anni sessanta e un gatto, Verandola Gorgonzola (dove il regista abbia scovato il nome del gatto non ci è dato di sapere). La seconda storia – che “irrompe” anche con forza visiva notevole – è quella del consigliere in amore Besson Kumagai, che dispensa consigli decisamente maschilisti a giovani maschi inabili in amore, mentre si esibisce in mossette lascive con due superdonne. La terza vicenda, che entra a “gamba tesa” nel tessuto narrativo già discretamente pregiudicato nella sua credibilità dalle precedenti storie, ci introduce Tamon, samurai dal cuore spezzato perché la sua bella è stata rapita e segregata in una casa di appuntamenti, e dalla quale, durante una rocambolesca e spettacolare, quanto vana, rissa, tenterà di liberarla.
Chiude il quadro la “cornice” di Ovreneli Vreneligare cresciuto, sempre con il caschetto improbabile e con un coperchio (di pentola) a celare il buco lasciato dal cuore. Il ragazzo ritroverà Milocrorze e guarirà, infine, dalla propria ossessione.
Ecco: si può tentare di scrivere la storia del film, ma questo non rende neppure un minimo della forza visiva dell’opera di Ishibashi, che è un tripudio di immagini ipertrofiche e rutilanti punteggiate da una colonna sonora che si fa elemento del quadro totale, un’alternarsi divertente, irriverente e comica di gag surreali e grottesche, una danza nella quale è bello farsi prendere e coinvolgere, piuttosto che cercarne il bandolo narrativo.
Milocrorze è stile su sostanza, è un’allucinazione di un’ora e mezza, che non può non conquistare per ritmo, trasformismo visivo, comicità.
In una delle sequenze più coinvolgenti del film, Tamon il samurai pazzo d’amore è costretto a difendersi dagli scagnozzi della casa di geishe dove è tenuta la sua amata. Ishibashi dipinge veri e propri quadri di lotta in successione, sfruttando la dissociazione visiva data dall’utilizzo di velocità alternata (rallentata e poi subito dopo a ritmo normale e così via), che sorprendono e catturano lo spettatore.
Mattatore in questa arena è Takayuki Yamada, visto di recente nel film di Miike Takashi Juusannin no shikaku (13 assassini), che qui dà prova di un camaleontismo attoriale notevole, interpretando in modo convincente i tre ruoli principali (a parte il bambino di 7 anni dell’inizio). Anche Suzuki Seijun regala un breve cameo, interpretando un anziano che faceva tatuaggi.
La morale delle teorie di Ishibashi sull’amore? Non servono consiglieri di nessun genere: si guarisce col tempo (ma non sempre). E anche i buchi del cuore, nascosti o meno da coperchi di latta, si ricolmano infine lasciando spazio a nuove avventure.
Da tenere d’occhio, a mio avviso, questo neanche trentenne regista dalle variegate influenze artistiche. [Claudia Bertolè]