Pacchigi! (We Shall Overcome Someday)
Pacchigi! (パッチギ!, We Shall Overcome Someday). Regia: Izutsu Kazuyuki. Soggetto: da un romanzo di Naruyama Takeshi. Sceneggiatura: Habara Daisuke, Izutsu Kazuyuki. Fotografia: Yamamoto Hideo. Scenografia: Kaneda Katsumi. Montaggio: Tomita Nobuko. Musica: Katō Kazuhiko. Interpreti: Shioya Shin, Takaoka Sōsuke, Sawajiri Erika, Matsunaga Kyōko, Onoue Hiroyuki, Odagiri Joe. Produzione: Cinequanon. Durata: 118’. Uscita nelle sale giapponesi: 22 gennaio 2005.
Arrivano a decine, pronti a dare la caccia ai colpevoli. Scovato uno dei responsabili dell’accaduto, che si è rifugiato in un autobus, circondano l’automezzo, lo sollevano, e rovesciano per strada. È questo la roboante scena quasi iniziale di Pacchigi!, film diretto da uno dei più brillanti ‘autori commerciali’ del cinema giapponese contemporaneo, Izutsu Kazuyuki (di cui va citato almeno Kishiwada shōnen gurentai, 1996). Siamo evidentemente dalle parti di quel cinema giapponese cha guarda ai modelli del film d’azione made in Hong Kong. Forse un po’ meno violento, almeno nell’uso dei dettagli, ma altrettanto spettacolare sul piano coreografico. Pacchigi!, però, non si limita a questo, e mette in scena con una certa intelligenza e vivacità, il rapporto fra giapponesi e coreani – nello specifico nordcoreani, fatto che introduce anche una certa dimensione politico-ideologica – legandosi a una tradizione tematica che ha goduto di una certa attenzione nel cinema giapponese di questi ultimi anni – pensiamo anche solo a Go(2001) di Yukisada Isao e a Chi to hone(Blood and Bone, 2004) di Sai Yōichi, 2004 –. Le responsabilità storiche del Giappone in relazione alla Corea – paese che di fatto è stato una colonia dell’Impero del Sol levante, dagli inizi del Novecento sino alla fine della Seconda guerra mondiale – sono esplicitamente denunciate, anche se il film vuole soprattutto essere una ricostruzione del clima culturale della gioventù giapponese alla fine degli anni Sessanta. C’è la moda dei Beatles, alcuni studenti si tagliano i capelli a caschetto, sperando così di aver maggior fortuna con l’altro sesso; ci sono gli echi della Beat generation, in particolare attraverso il personaggio un po’ ‘frikettone’ interpretato da un giovane Odagiri Joe; ci sono i miti ideologici, fra essi quelli di Mao e della Rivoluzione Culturale, propagati da un insegnante alquanto maldestro che, nelle immagini conclusive del film, vedremo ridotto a distribuire manifestini pubblicitari di locali porno. E soprattutto ci sono due storie d’amore incrociate, una delle quali dà al film un evidente tocco alla Romeo e Giulietta, o se preferite alla West Side Story, il cui epilogo positivo, finisce col conferirvi una prospettiva piuttosto buonista – ma anche alquanto edulcorata – dei rapporti fra i giapponesi e gli immigrati (nord) coreani. Fatto che tuttavia non toglie nulla all’asprezza di certi momenti, come quello in cui il giovane Kosuke – che ha tradotto in giapponese una celebre canzone nord coreana, Il fiume Imjin – è cacciato a male parole , e non del tutto a torto, dal funerale di uno studente nordcoreano. In sostanza un film che nei limiti di certo enterteinment esibisce, insieme a un indubbia capacità registica e di messinscena del suo autore, anche uno sguardo a tratti attento a una certa epoca e a una certa dimensione sociale [Genji].