Himizu
Himizu (ヒミズ , Himizu). Regia e sceneggiatura: Sono Sion. Soggetto: dal manga omonimo di Furuya Minoru. Fotografia: Tanikawa Sōhei. Musica: Harada Tomohide. Interpreti e personaggi: Sometani Shōta, Nikaidō Fumi, Watanabe Tetsu, Fukikoshi Mitsuru, Kagurazaka Megumi, Watanabe Makiko. Produzione: Himizu Film Partners (Gaga, Kodansha), Studio Three Co.Ltd. Durata: 129’. Anteprima mondiale: 68 Venezia Film Festival – 6/9/2011
Link: Sito ufficiale – Bob Turnbull (Toronto J-Film Pow-Wow) – Margherita Palazzo (Sentieri Selvaggi) – Raffaele Meale (Cineclandestino)
Punteggio ★★★1/2
Torino Film Festival 2011 – Rassegna “Rapporto confidenziale” dedicata a Sono Sion
Tratta originariamente da un manga di Furuya Minoru avente come tema le percezioni e la psicologia delle persone in una società in cui non c’è possibilità di riscatto e, quindi, di speranza, la storia viene modificata da Sono in corso di lavorazione per tenere conto dei drammatici eventi di Fukushima verificatisi nel frattempo.
La scelta del titolo è sintomatica. La himizu, infatti, è una talpa di montagna che si trova solo in alcune regioni del Giappone e il cui stesso nome è usato molto raramente nella lingua giapponese. Un po’ come dire un animale sconosciuto agli altri animali, che si consuma nella sua vita sotterranea senza mai uscirne. Come dice il protagonista stesso in una scena del film, il suo desiderio è di poter vivere una vita la più normale e riparata possibile, come una talpa, appunto.
Il film, così riconfigurato, racconta la storia di un gruppo di disperati che vivono intorno a un laghetto artificiale usato per affittare piccole barche da diporto: da una parte ci sono le vittime di Fukushima, dall’altra quelle della società giapponese, emarginati tout court. È questa la cifra del racconto: l’apocalisse dello tsunami e la dissoluzione della società sono mostrati sempre in connessione. Ma l’accento principale è sulle vittime della società. La società giapponese è dipinta come un mondo alla deriva, frutto dell’irresponsabilità, dove i figli pagano le colpe dei padri. Una società senza più umanità. L’unico microcosmo ancora in grado di esprimere solidarietà è proprio quello dei diseredati e, infatti, comprensione e aiuto si trovano solo tra le vittime.
Nella lunga, bellissima, corsa finale i due giovani protagonisti vanno incontro a un futuro ancora tutto da costruire, urlando ripetutamente a squarciagola ganbare!. Ganbare!, che significa “forza!”, “coraggio!”, “non mollare!”, è una delle parole più sintomatiche dell’universo sociolinguistico giapponese perché sta a indicare la volontà e la pervicacia dell’impegnarsi, del darsi da fare, del tirarsi su le maniche da soli, senza aspettare aiuti dall’esterno, tutti atteggiamenti che hanno segnato la rinascita del Giappone dalle rovine della seconda guerra mondiale e che anche oggi, seppur in lieve declino, pervadono lo spirito giapponese. L’urlo dei due protagonisti è perciò un grido contro il cielo dal significato bivalente. Da un lato esprime la forza della disperazione dei due giovani che vogliono vivere a ogni costo. Dall’altro è l’urlo di Sono, è l’urlo che esce dal mondo del cinema, della finzione, e va verso il popolo giapponese segnato dalla morte e dal dolore. È un’esortazione a non cedere, a rialzarsi, a ritrovare la speranza anche quando si è perso tutto ciò che si aveva.
Un film intenso, duro e sincero. Nonostante qualche debolezza soprattutto laddove sono state fatte le inserzioni del tema del disastro e nell’eccesso di registri narrativi – che peraltro è un aspetto peculiare al cinema di Sono –, Himizunon può non essere apprezzato per la forza disperata con cui trasmette il suo fervore morale. La creatività visionaria e iconoclasta, per cui Sono è conosciuto, è qua messa al servizio di una parabola sui mali della società culminante in una morale civile che invita a un doloroso impegno per ricostruire prospettive di speranza. È la speranza che cercano coloro che hanno perso tutto nella calamità e allo stesso tempo è la speranza, rifiutata e poi faticosamente accettata, dei figli della società attuale.
Il film è segnato dalla straordinaria interpretazione del diciannovenne Sometani Shiōta, noto fino a prima solo per ruoli convenzionali in film giovanilistici. Sono lo ha letteralmente scoperto e ricostruito come giovane attore drammatico, portandolo a vere e proprie vette di intensità espressiva. Insieme con la protagonista femminile Nikaidō Fumi, è stato giustamente consacrato dal Festival di Venezia 2011 con il Premio Marcello Mastroianni per il miglior attore giovane. [Franco Picollo]
Il film non mi ha convinto del tutto. La critica alla società nipponica, a Sono, è riuscita meglio in passato.
Tra Dodeskaden di Kurosawa e Shangrilà di Miike, ma senza tocchi particolarmente vincenti.
Forse il fatto di aver voluto inserire in corsa, durante le riprese (a quanto pare) dei riferimenti al disastro di Fukushima, non ha giovato alla linearità della messa in scena e del messaggio. Attendo Land of Hope, per meglio comprendere l'idea di Sono su Fukushima,