Dankon, The Man
Dankon, the Man (男痕 – The Man, Dankon: The Man). Regia, soggetto, sceneggiatura: Sono Sion; Interpreti: Ito Takeshi, Hori Yusuke, Ishikawa Yuya, Kuroiwa Kenji; Produzione: Anchors Production. Durata: 60’. Uscita nelle sale giapponesi: 17 ottobre 1998.
Link: Sito ufficiale di Sono Sion (in giapponese)
Punteggio ★★
Questo film verrà presentato nella rassegna “Rapporto confidenziale” al 29° Torino Film Festival (29 novembre-3 dicembre). In tale occasione “Sonatine” pubblicherà in collaborazione con il Festival il volume “Il Signore del caos. Il cinema di Sono Sion”, contenente un’intervista inedita a Sono, un’ampia introduzione alla sua opera, alcuni saggi critici e le schede di tutti i film proiettati nella rassegna.
All’interno di una stanza ci sono alcuni uomini e una donna attorno ad un tavolo da gioco. Tra di loro, in piedi, vediamo anche un giovane che indossa una felpa rossa e un altro vestito di nero. In un momento stabilito le luci si spengono e … (non raccontiamo troppo la trama). Ritroviamo subito dopo i due in auto. Quello vestito di rosso è ferito. Nella fuga si fermano sotto la pioggia in un vicolo e fanno l’amore. I due, più tardi, ricevono del denaro da un motociclista e poi si dividono. L’uomo vestito di nero offre un passaggio a due autostoppisti che, nel sedile posteriore, sapendo di essere osservati, si lasciando andare ad effusioni. Il loro gioco erotico prosegue nei luoghi più diversi coinvolgendo tutti e tre.
Fin dalle prima inquadrature si intuisce che ci troviamo di fronte ad un esperimento tutto giocato sui colori e sulla disposizione dei personaggi all’interno dell’inquadratura. E, infatti, la prima scena, rigorosamente senza dialoghi come tutto il film, è una scena di “enunciazione” capace, da sola di anticipare le relazioni che esistono tra i protagonisti e stabilire il tono del racconto. In una stanza sono raccolte alcune persone: Sono ci mostra soprattutto i volti e le espressioni, mentre lentamente si va costruendo un’invisibile rete di sguardi.
Ci si deve tenere in equilibrio nei profondi contrasti che Sono crea tra luci, buio, colori accesi, silenzio, fragore, densità e rarefazione. Nel raccontare una storia di gangster, che devia facilmente verso il soft-porno, Sono costruisce una struttura costantemente in bilico, anzi, sbilanciata nell’infrangere ogni schema, a partire proprio dalle regole dei generi. Si procede per accostamenti, accumulazioni e allusioni, attingendo da certo cinema hollywoodiano l’aspirazione al melodramma, ma esasperando la forma, soprattutto nelle scene più hard e nella loro ripetizione.
Viaggio verso la luce per il killer vestito di nero, che dalla città dominata dai blu e dai rossi, si spinge nella periferia, tra abitazioni fatiscenti e prati fioriti dove tutto si fa più chiaro. Ma è solo un’evasione momentanea, il suo passato lo reclama e i suoi gesti tornano a farsi meccanici e violenti quasi subito, fino alla chiusura del cerchio. Di nuovo la notte, la città, gli interni barocchi, l’impasto sonoro di musica e rumori. [Grazia Paganelli]