Noroi (The Curse)
Noroi (ノロイ – Noroi – The Curse). Regia: Shiraishi Kōji; sceneggiatura: Shiraishi Kōji, Yokota Naoyuki; riprese: Morishita Shozo; montaggio:Takahashi Nobuyuki; musiche: Himuro Masayuki; luci: Miyao Yasushi; interpreti:Muraki Jin, Kanno Rio, Kuga Tomono, Takagi Maria, Jitsunashi Satoru, Iijima Ai, Dankan; produzione: Ichise Takashige, Kanai Shuntarō per OZ; durata:115’; uscita nelle sale giapponesi: 20 agosto 2005.
Link: Sito ufficiale – Trailer (Youtube) – Torino Film Festival 2005
PIA: Commenti: 2,5/5 All’uscita delle sale: 52/100
Punteggio ★★★
Punteggio ★★★
Durante un incendio divampato la notte del 12 aprile 2004, la casa del giornalista del paranormale Kobayashi Masafumi (Muraki Jin) viene distrutta e sua moglie rinvenuta morta carbonizzata tra le macerie. Kobayashi non verrà mai ritrovato. Con un salto all’epilogo del film vediamo che viene recapitata alla redazione televisiva dove lavorava il giornalista una videocassetta recante il titolo “Noroi”. L’unico a poter essere verosimilmente in possesso di quel materiale altri non può essere che Kobayashi stesso. Questo video sarà, in pratica, il film a cui assisteremo: risultato del lavoro scaturito dall’indagine sulla sparizione di una bambina con poteri psichici (Kanno Rio) e sulla possessione di Ishii Junko, una donna disturbata mentalmente (Kuga Tomono), il tutto connesso a strani fatti avvenuti nel 1978 nel villaggio di Shimokage, successivamente sommerso dall’acqua di un lago artificiale.
Tra le miriadi di film horror giapponesi che hanno invaso gli schermi dall’uscita di Ringu di Nakata Hideo nel 1997, fino ai numerosi e stucchevoli remake americani dei suddetti lavori, pochi sono stati i risultati davvero degni di nota nel sovraccarico panorama cinematografico dedito a questo genere. Oltre al menzionato Ringu, si potrebbero citare Dark Waters (dello stesso Nakata), Audition e The Call di Miike Takashi, il folle Uzumaki di Higuchinsky, Kairo e Cure di Kurosawa Kiyoshi, Ju-on di Shimizu Takashi (anch’esso riproposto in versione a stelle e strisce) e pochissimi altri. Oggi la mania per il j-horror è ormai spenta ma alcuni cineasti giapponesi hanno continuato a cimentarsi con il genere, ormai fuori dai canoni prefissati dall’ingombrante (a livello di originalità del soggetto) Ringu. Ci si trova talvolta di fronte a interessanti lavori, nei quali per la prima volta lo spettro delle influenze non viaggia solo in una direzione (dal Giappone agli Stati Uniti), ma è ormai a trecentosessata gradi. Il buon Paranormal Activity 2: Tokyo Night di Nagae Toshikazu, per esempio, nasce dal successo lanciato con il primo film americano di Oren Peli che ha a sua volta radici sia nell’horror high-tech giapponese che nel mockumentary americano entrato in auge dopo The Blair Witch Project.
Parlando di mockumentary veniamo a questo recente lavoro di Shiraishi Kōji (assistente alla regia in August in the Water di Ishii Sōgo e, per sua stessa ammissione, fortemente ispirato dall’autore di Crazy Thunder Road), che ha dedicato a questo sottogenere un’intera trilogia composta da Noroi, Occult e Shirome. Il film nasce da un’idea di ispirazione non orientale (La strega di Blair, Rec e Cloverfields sono mockumentary americani realizzati dal 2000 al 2008), che ha anch’essa generato numerosi cloni ed ispirato vari progetti, ma riesce ad assumere, per qualità registica e recitativa, un ruolo sicuramente importante nel panorama horror contemporaneo.
«Questo documentario è ritenuto troppo inquietante per una visione pubblica». Con questa frase veniamo catapultati tra le riprese dell’indagatore del mistero e nelle sue indagini televisive per strada ed in mezzo alla gente, atte a svelare verità inquietanti scoperte in tutto il Giappone. Tramite vari flashback delle trasmissioni di Kobayashi sul suo ultimo caso, il film mostra tutte le puntate che hanno riguardato questa vicenda. Inizialmente il pubblico viene reso partecipe delle capacità della piccola Kana, poi si viene messi a conoscenza della sua sparizione, fino a giungere alla scoperta della misteriosa e folle Junko e del suo piccolo bambino. Questi differenti fatti, anche se a prima vista paiono tutti sconnessi l’uno dall’altro, saranno in realtà ricollegabili, col prosieguo delle riprese, al mistero del villaggio di Shimokage. Verso la fine degli anni Settanta, infatti, in questo minuscolo villaggio rurale dell’area di Nagano, gli abitanti erano soliti dedicarsi annualmente ad un rito comune per placare le ire del demone Kagutaba. Proprio durante il rito del 1978, però, qualcosa di strano accade alla giovane figlia del sacerdote (Junko) che, per l’occasione, si era mascherata proprio con le sembianze del demone, per rappresentare la pacificazione di questi attraverso i gesti ritualistici del padre. La ragazza inizia improvvisamente a contorcersi a terra in preda a chissà quale strano malore. Durante la visione di questo film si ha davvero l’impressione di assistere ad una trasmissione televisiva giapponese, con tutti i tipici inserti grafici coloratissimi in primo piano, e le varie performance sopra le righe di presentatori e ospiti presenti nella trasmissione.
L’inquietudine aumenta col procedere della narrazione e Shiraishi riesce perfettamente a far immedesimare lo spettatore attraverso l’artificio del falso documentario, inserendo immagini erranti sullo sfondo delle scene. Il secondo piano, al quale si può accedere con la coda dell’occhio, diviene dunque primo piano concettuale, grazie all’impatto potente di quelle figure sinistre che affiorano improvvise in un qualsiasi campo visivo.
Nell’epilogo, poi, tutto l’orrore del film scaturisce in una ripresa brevissima, atta a mostrarci una figura umanamente inconcepibile, quasi fosse una visione subliminale e, come tale, inesorabilmente perdurante nella mente dello spettatore per diversi minuti, anche dopo la visione del film.
L’inquietudine aumenta col procedere della narrazione e Shiraishi riesce perfettamente a far immedesimare lo spettatore attraverso l’artificio del falso documentario, inserendo immagini erranti sullo sfondo delle scene. Il secondo piano, al quale si può accedere con la coda dell’occhio, diviene dunque primo piano concettuale, grazie all’impatto potente di quelle figure sinistre che affiorano improvvise in un qualsiasi campo visivo.
Nell’epilogo, poi, tutto l’orrore del film scaturisce in una ripresa brevissima, atta a mostrarci una figura umanamente inconcepibile, quasi fosse una visione subliminale e, come tale, inesorabilmente perdurante nella mente dello spettatore per diversi minuti, anche dopo la visione del film.
Noroi è un rappresentazione subdola ed ambigua di un orrore reale, che può celarsi ovunque. Quale rassicurazione o conforto potranno ancora esserci se il terrore e l’abominio si celano nei meandri della semplicità di un assolato pomeriggio di un vecchio villaggio rurale giapponese, tra gli sguardi nascosti dalle finestre di un quartiere popolare di Tokyo o nell’innocente espressione di un indifeso bambino di sei anni? [Fabio Rainelli]
Insieme al più blando Carved, il migliore film di Shiraishi (ed è un peccato perché il regista ha dimostrato di saper fare il suo mestiere in entrambe le occasioni), che dopo lo psycho horror è passato alla rivisitazione dello slasher, talvolta in stile snuff movies con, a mio parere, mediocri risultati (Teketeke e il contestato Grotesque), per poi tornare alla ghost story ma in chiave fin troppo adolescenziale e j-idol (vedi Shirome), avvicinandosi, in parte (per stile di ripresa), nuovamente a Noroi.
Mi trovo in accordo con Fabio, il finale è molto efficace, a distanza di anni lo ricordo ancora con chiarezza. Come accade nel j-horror ben congeniato, la forza della sua iconografia rimanda (e spesso risiede) ad una commistione di figure arcaiche e materne in cui si sovrappone un aspetto profondamente inquietante e disturbante di procreazione generativa. Mi permetto solo di aggiungere una nota positiva sull’aspetto sonoro che, come accade in Nakata o in Kurosawa, apporta una notevole enfasi al film, risultando talvolta di maggior portata espressiva rispetto alle stesse immagini.
Ma sono l’unico a cui non è piaciuta la versione giapponese di Paranormal Activity e l’ha trovata inutilmente derivativa, seppur curiosa per aver rappresentato un’inversione di tendenza? 🙂
Luca
Concordo assolutamente quando Luca parla dell'aspetto sonoro, prerogativa del JHorror di Kurosawa e Nakata e rintracciabile anche in alcune soluzioni di Noroi. Tra l'altro trovo che anche la mise en scène delle "presenze" nel bosco sia accostabile, per certi versi, all'estetica di Kairo, o Korei, nella misura in cui risultano fenomeni apparentemente passivi (nessun enfatizzazione sonora accompagna le loro comparse brevi ed improvvise e difficilmente interagiscono da subito con gli esseri viventi), quasi inerti, ma proprio per questo ancor più inquietanti.
Dimenticavo: Paranormal Activity Tokyo Night è una buona trasposizione, niente di più. Ma, a mio avviso, regge meglio il confronto dei due sequel americani.
non l'ho visto ma me ne hanno parlato bene.
Da giapponofila e horrormaniaca non posso assolutamente esimermi dal recuperarlo!!
Non sono un grande appassionato di horror ma Paranormal Activity Tokyo Night a me è piaciuto.
Visto ieri sera dopo qualche anno di digiuno dagli horror giapponesi (a parte Paranormal Activity Tokyo Night che a me non è piaciuto – questo è decisamente meglio e, per certi versi, in anticipo sui tempi rispetto al ritorno in auge del mockumentary horror portato da PA). Molto interessante e davvero ben orchestrato il passaggio tra diversi punti di vista, mezzi di riproduzione e contesti di visione. Secondo me, dopo un certo rigore che contribuisce non poco a tessere il crescendo di tensione, il finale sbrocca un po', abbandonandosi leggermente a un più facile nonsense (è vero che i migliori j-horror hanno strutture aperte e se ne fregano di spiegare perché l'orrore è altrove, ma chi minchia è il bambino?), e in un paio di punti perde anche quella plausibilità che avevo apprezzato rispetto a Tokyo Night, in cui a un certo punto davvero faticavi a comprendere il motivo per cui il protagonista dovesse per forza imbracciare la videocamera… in ogni caso, è un finale che funziona e l'ho sperimentato stanotte quando sono dovuto andare in bagno al buio.