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17 sai no fūkei (Cycling Chronicles)

 *** Flashback ***
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 17 sai no fūkei – shōnen wa nani wo mita no ka (17歳の風景-少年は何を見たか, Cycling Chronicles.: Landscapes The Boy Saw). Regia: Wakamatsu Kōji; sceneggiatura: Yamada Takayuki, Shima Toshiki, Deguchi Izuru; montaggio: Itabe Hiroaki; musica: Tomokawa Kazuki; interpreti: Emoto Tasuku, Seki Etsuko, Kobayashi Kaori; produzione: Obinata Takahito, Shima Toshiki per Shima Films; durata: 89′; uscita nelle sale giapponesi: 31 ottobre 2004.
Link: Mark Schilling (Japan Times)
PIA: Commenti:  3/5   All’uscita delle sale: 60/100
Punteggio ★★★

Con una fotografia affascinante che alterna il paesaggio in campi lunghi e lunghissimi, al personaggio colto nei dettagli, nei primi piani silenziosi e tormentati, Wakamatsu propone l’ambivalente senso del viaggio tipico del road movie: concreto nel continuo spostamento del personaggio lungo un vasto spazio, attraverso le sue tappe e le sue debite avversità, quanto spirituale ed interiore, di espiazione e profonda sofferenza personale. Infatti, protagonista è un ragazzo di diciassette anni sempre a cavallo della sua bicicletta, la cui soggettività è restituita attraverso una relazione empatica della macchina da presa che lo pedina, lo precede, scorre in fluenti carrellate lungo le strade di un ambiente desolato e invernale; ne interpreta il ruolo di silenzioso spettatore o lo sguardo interrogativo di fronte al mondo, come nella scena d’apertura in cui si rivolge al monte Fuji, emblema di una coscienza superiore. 
In contrapposizione, la città è una metropoli sterminata di palazzi, la società una folla uniforme e anonima che procede in una medesima direzione, contrastata dalla camminata controcorrente del giovane. I ragazzi che leggono la cronaca interpretano quella follia e quel malessere dei tempi commentando gli articoli relativi al crescente numero di omicidi compiuti dagli adolescenti. A tali parole si sovrappongono le immagini del protagonista che intraprende il suo viaggio: una presentazione indiretta e fortemente connotativa del giovane in fuga dalla città, dalle convenzioni, dal disagio e soprattutto dall’assassinio della madre, il quale risulta motore narrativo ed elemento visivo che ossessiona la sua mente con rapidi inserti che si fanno più espliciti delle stesse parole. I dialoghi infatti sono assenti: il silenzio e il suo ermetismo sono corrispettivo della stessa disperazione. Valorizzati sono i suoni del suo fiato affaticato, della natura minacciosa, del vento e delle onde, fino all’urlo liberatorio sul quale si chiude, in un frame stop, la pellicola. Sono i rari monologhi del giovane, frutto di una voce interiore, restituita anche attraverso le didascalie nell’incipit. Oppure, in uno dei suoi incontri, il lungo monologo dell’anziano che apre ad ampie riflessioni sulla giovinezza, sulla guerra, sulla morte. Lo sguardo critico del regista spazia fra gli estremi poli di una concezione che contempla e confronta la visione individualistica e quella nazionalista, collettiva, il presente e la storia e, nell’immediato, le generazioni.
L’erranza e il senso di smarrimento sono i sintomi di un nichilismo non estraneo a Wakamatsu, incarnati dalla figura del giovane, nella dilatazione delle sue azioni ripetitive che dissolvono una sull’altra fino al gesto di ribellione finale: la simbolica rinuncia alla fuga con il lancio della bicicletta dalla cima di una scogliera. Complementare è la sfiducia e l’amarezza dell’anziano tanto estraneo al presente, quanto visivamente isolato rispetto al protagonista, teso a constatare un contemporaneo pessimismo in cui i valori e i riferimenti tendono a dissolversi nella chiusura non definitiva e ambigua: distaccata ma simultaneamente intimista. [Davide Morello]
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