Se quella giapponese è stata la più importante cinematografia asiatica, in grado di competere sul piano della qualità col cinema dei maggiori paesi occidentali, lo si deve anche alla solidità della sua struttura industriale, a un sistema di studi modellato su quello hollywoodiano e fondato su una struttura verticale, in base alla quale ogni singola compagnia esercitava la propria attività nell’ambito della produzione, della distribuzione e dell’esercizio. Sino alla fine degli anni Cinquanta, la quasi totalità dei film giapponesi era prodotta da un gruppo piuttosto ristretto di grandi compagnie, come la Shōchiku, la Daiei, la Tōhei, la Tōhō, e, appunto, la Nikkatsu, che nel loro ruolo egemone lasciavano ben poco spazio alle altre più piccole società e alla produzione indipendente. Fatto che se ha comportato degli ovvi limiti – frenare il cinema indipendente, è sempre un attentato alla creatività – ha posto, nel contempo, quelle premesse che hanno consentito a registi come Ozu, Mizoguchi, Naruse e Kurosawa, per non citare che i più noti, di realizzare i propri capolavori con quella continuità che solo un consolidato sistema produttivo permette.
La Nikkatsu nasce nel 1912 e si impone rapidamente come una delle protagoniste del cinema jidaigeki, ovvero di quei film in costume spesso costruiti intorno alla figura del samurai, che hanno rappresentato, sino alla fine della seconda guerra mondiale, all’incirca una metà dell’intera produzione cinematografica nipponica. Per la compagnia lavorano Makino Shōzō, considerato in patria il padre del cinema giapponese, e poi il figlio, Makino Masahiro, che realizzerà più di 260 film nel corso di una carriera che lo vedrà assoluto protagonista del cinema popolare, in particolare nell’ambito dei jidaigeki, prima, e dei ninkyō eiga (i film sulla yakuza), poi. Ancora per la Nikkatsu, presteranno, negli anni Venti e Trenta, i loro servizi due delle figure fondamentali del cinema di samurai: Itō Daisuke e Yamanaka Sadao. Il primo è noto sia per la dimensione nichilista dei suoi nobili eroi destinati alla sconfitta, secondo un codice culturale squisitamente giapponese che tende ad ammirare più chi perde che chi vince, sia per il carattere quasi acrobatico dei suoi movimenti di macchina; il secondo è considerato l’Ozu del jidaigeki, per la forte componente umanista delle sue opere, più attenta alla dimensione del quotidiano che all’epica della spada.
Costretta dalla politica di guerra a fondersi con la Daiei nel 1942, la Nikkatsu riapre i battenti nel 1954, quando, dovendo ripartire da zero, si avvale di giovani maestranze, che infondono nella compagnia uno spirito nuovo, che accompagnerà il cinema giapponese in un’importante fase di transizione verso la modernità. Nascono così i film del cosiddetto
taiyōzoku eiga (il film della tribù del sole), che ispirati ai romanzi di Ishihara Shintarō, apriranno, come disse Ōshima, una vera e propria breccia nella storia del cinema giapponese, rappresentando, per la prima volta, i bisogni e i desideri, anche quelli più dissoluti, delle nuove generazioni formatesi negli anni del dopoguerra. Nel periodo immediatamente successivo si affermano anche i cosiddetti Nikkatsu Action, thriller e film noir che per il carattere stilizzato delle loro immagini, sia nella composizione delle inquadrature sia nell’uso dei colori e della luce, segneranno un momento importante nell’evoluzione stilistica del cinema giapponese, ribadendone nel contempo la sua dimensione fortemente straniante. In questa fase di transizione verso la modernità, e poi della sua affermazione, giocano un ruolo chiave anche alcuni autori come Kawashima Yuzō, forse la ‘scoperta’ più importante della rassegna, e il più noto Imamura Shōhei, uno degli indiscussi protagonisti della Nouvelle Vague giapponese. Per non dire del lavoro di Suzuki Seijun che nel corso degli anni Sessanta radicalizzerà, in un’estetica esplicitamente autoriale, il lavoro già intrapreso dai precedenti Nikkatsu Action. Tuttavia, bisogna aggiungere, il licenziamento del regista avvenuto nel 1968, a causa dell’ “incomprensibilità” dei suoi film (fatto che lo costrinse a un lungo silenzio proprio al culmine della sua carriera) rimane una colpa che difficilmente si potrà perdonare alla sua casa madre.
All’inizio degli anni Settanta, in un periodo di grave crisi per tutta l’industria cinematografica giapponese, la Nikkatsu riuscirà a salvarsi dal fallimento grazie al lancio dei cosiddetti Roman Porno (dove ‘roman’ è da leggersi come una contrazione della parola inglese ‘romantic’), che nella loro rappresentazione di una sessualità cruda, a volte brutale e spesso conturbante, disegneranno una nuova pagina della storia del cinema erotico e lanceranno registi di rilievo come Kumashiro Tatsumi, Tanaka Noboru, Sone Chūsei e Konuma Masaru.
Rivedere oggi i film della Nikkatsu è, di fatto, un modo per ripercorrere l’intera storia del cinema giapponese da una prospettiva fra le più utili alla sua vera conoscenza. [Dario Tomasi]
La retrospettiva Nikkatsu si terrà al Cinema Massimo di Torino dal 2 al 28 febbraio e dal 16 al 25 marzo 2012.
Il presente articolo sarà pubblicato sul numero 100 de «La Rivista del Cinematografo”, febbraio 2012