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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Shirome (シロメ, White Eyes)

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  1. Shirome (シロメ, White Eyes). Regia e sceneggiatura: Shiraishi Kōji. Fotografia: Mimura Kazuhiro. Montaggio: Shiraishi Kōji, Takatsuka Erika. Musica: Momoiro Clover. Scenografia: Takagi Riki. Effetti speciali: Stardust Promotion Inc.. Interpreti: Momota Kanako, Sasaki Ayaka, Hayami Akar, Ariyasu Momoka, Shiraishi Kōji, Takagi Reni, Imani Eisuke, Kamishima Kenjirō,  Sō  Yūko, Yoshida Yuki. Produzione: Stardust Promotion Inc.; Produttori: Katō Nobutaka.  Durata: 83’. Uscita nelle sale giapponesi: 13 agosto 2010.
  2. Links: Sito ufficialeTrailer (Youtube) – Sketches of CinemaBeyond Hollywood  
  3. PIA: Commenti: 3/5   All’uscita delle sale: 60/100 
  4. Punteggio ★★
Il gruppo pop – idols delle Momoiro Clover è stato invitato a rispondere ad una proposta di lavoro alquanto strana ed angosciante: recarsi in una vecchia scuola abbandonata e fatiscente , nella quale sono avvenuti inspiegabili fatti (inclusi i suicidi di due persone), per eseguire dal vivo una delle loro canzoni. L’idea è concepita e perorata dal loro presunto manager (interpretato da Shiraishi Kōji stesso), e ha come scopo finale la presenza del sestetto canoro dinnanzi al demone di Shirome (demone presidiante la scuola) per fargli richiesta di aiuto nella partecipazione ad un importante programma televisivo. Shirome, infatti, è noto per esaudire i desideri ma solo di chi si mostrerà al suo cospetto come profondamente puro di cuore. Agli altri spetteranno dannazione e sofferenza.
Shiraishi Kōji ha dimostrato, negli ultimi anni ed in ambito horror, di poter ambire chiaramente a raccogliere l’eredità di nomi quali Nakata Hideo e Kurosawa Kiyoshi, che un decennio orsono avevano cominciato a gettare le basi del J – horror. Dopo le prove più che convincenti di Jurei, Noroi, Grotesque, Occult e la coppia di Teketeke, il regista di Fukuoka, prosegue sulla strada del mockumentary, senza stavolta convincere appieno.
Se l’idea iniziale, infatti, poteva essere accolta con aspettative più che buone, l’effettivo sviluppo della storia e del film non trovano, di per sé, uno sviluppo sufficientemente efficace e coinvolgente. L’intento di Shiraishi è stato quello di realizzare questo lavoro, avvalendosi della produzione dell’etichetta discografica delle Momoiro Clover, approfittando così di un aiuto economico ed accettando di buon grado le imposizioni del caso. Ci si ritrova, di conseguenza, a subire l’ascolto di almeno un paio di brani cantati, per intero, dal gruppo femminile in questione.
Oltre a questo troppi i punti deboli di un film che, da idea iniziale, si sarebbe avvalso di un soggetto abbastanza curioso e adatto ad un’ elaborazione potenzialmente più interessante di quanto non avvenuto.
Le giovani protagoniste, seppur ignare del fatto che stanno interpretando un ruolo cinematografico, non convincono. Con le loro continue e stridenti urla e, forse proprio per questo, risultano decisamente fuori contesto e paradossalmente poco credibili.
Il problema reale, d’altronde,  riguarda il fatto che poco altro avviene nello sviluppo della trama.
Ci si avvicina alla casa con la troupe di Shiraishi e le sei ragazze:  a dare al gruppo un supporto da un punto di vista più strettamente spirituale intervengono, inoltre, due anziani medium.
Tutto il pathos che si trasmette in questa parte centrale del film scema, tuttavia, nel momento in cui il finale ci svela l’altare consacrato a Shirome e poco o nulla, però, ci mostra sulla sua natura o sembianza.
Degna di menzione è la parte, dopo i titoli di coda, in cui Shiraishi mostra il momento delle riprese (circa a metà film già girato, momento in cui la recitazione delle sei, avrebbe dovuto arrivare ad interpretazioni di panico impossibili da ottenere di fronte all’inesistenza di alcun pericolo realmente tangibile per loro) in cui le ragazze vengono messe a conoscenza del fatto che tutto il progetto è una finzione, che la scuola non è posseduta realmente e che il programma televisivo non esiste. Questo momento mostra come Shiraishi sia, in realtà, un maestro del mockumentary e che Shirome possa e debba essere considerato principalmente come un lavoro con grandi potenzialità, ma con il risultato di risultare esplicitamente un prodotto di commissione.
Talvolta alcuni registi sono costretti, in carriera, ad affrontare prove in cui la loro reale intenzione artistico – espressiva resta forzatamente imbrigliata appannaggio di scelte potenzialmente più commerciali ed economicamente remunerative le quali, inevitabilmente, abbassano però il livello estetico, culturale e qualitativo di un film. [Fabio Rainelli]
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