Ryū ga gotoku – Gekijō-ban (龍が如くー劇場版, Yakuza Like a Dragon)
*** Flashback ***
Ryū ga gotoku – Gekijō-ban (龍が如くー劇場版, Yakuza Like a Dragon). Regia: Miike Takashi. Sceneggiatura: Togawa Seiji. Fotografia: Yamamoto Hideo. Montaggio: Shimamura Yasushi. Musica: Endō Kōji. Suono: Shibazaki Kenji. Interpreti e personaggi: Kitamura Kazuki (Kazuma Kiryū), Kishitani Gorō (Majima Gorō), Natsuo (Haruka, la ragazzina), Saeko (Yūi), Shoya Shun (Satoru), Aikawa Shō (il detective Noguchi), Arakawa Yoshiyoshi, (Beam, il trafficante d’armi), Endō Ken’ichi (Imanishi), Gong Yoo (Park, il killer), Katō Haruhiko (Kazuki), Claude Maki (Nishikiyama Akira), Matsushige Yutaka (Date, il detective), Tomorowo Taguchi. Produzione: Nagoshi Toshihiro, Umemura Munehiro per Sega Corporation ArtPort, CJ Entertainment. Distribuzione: Tōei. Durata: 110’. Prima proiezione in Giappone: 3 marzo 2007.
Link: Sito ufficiale – Todd Rigney (Beyond Hollywood) – David Tam (Cinema Liberated) – David Austin (Cinema Strikes Back) – Iken Eiga – Wikipedia
Punteggio ★★★
Nella sua veste di cantore della contemporanea cultura pop giapponese, Miike Takashi guarda anche all’universo dei videogiochi come, oltre al recentissimo Gyakuten saiban (Ace Attorney), presentato in anteprima mondiale all’ultimo Festival di Rotterdam, testimonia anche Yakuza Like a Dragon, tratto dal popolare videogame Yakuza (2005), ideato da Toshihiro Nagoshi per Sega e Playstation 2.
Nel ridurre l’ampia trama del videogioco, Miike e lo sceneggiatore Togawa Seiji non possono fare a meno di dare vita una storia costruita sul sovrapporsi di molteplici personaggi e diversi intrecci, che si svolgono tutti nel corso di un’afosa notte d’estate, fra cui dominano quelli relativi al protagonista Kazuma Kiryū, uno yakuza appena rilasciato dopo una detenzione di dieci anni. L’uomo si aggira nel quartiere a luci rosse di Kuramachō, immaginaria rivisitazione del reale Kabukichō di Shinjuku, mentre due diverse bande yakuza gli danno la caccia, per regolare dei conti passati, che il film mai chiarirà. Il boss di una di queste due bande è Majima Gorō, un criminale psicopatico con vistosa giacca di pelle e benda nera ad un occhio, che si diverte a colpire i suoi rivali con palle da baseball lanciate da una mazza tutta d’oro. Fra scontri di bande e spettacolari risse nei vicoli del quartiere l’intreccio complica la situazione di Kazuma con la scomparsa di un’ingente somma di denaro appartenuta a un terzo clan, quello dei Tōjō, che in molti ritengono connessa alla scarcerazione dello stesso Kazuma. Ma le cose non finiscono qui. Il protagonista, infatti, si prende a cuore anche le sorti della piccola Haruka, una ragazzina alla ricerca della madre, che si scoprirà non essere estranea alla scomparsa del denaro. Ci sono poi Yūi e Satoru, due giovani che trascorrono la notte a rapinare negozi di vario genere; Imanishi e Nakanishi, una sgangherata coppia di malviventi, coi loro vistosi passamontagna verde e rosso, alle prese con una rapina in banca (la stessa in cui sono scomparsi i soldi dei Tōjō); Park, un killer coreano assoldato per eliminare un misterioso boss; Date, un detective anche lui non estraneo all’arresto, dieci anni prima, di Kazuma; Noguchi – interpretato dal miikeiano Aikawa Shō – che trascorre quasi tutto il suo tempo in un sovraffollato koban (posto di polizia) proprio adiacente alla banca dove avviene la rapina; e, ma l’elenco non è completo, Beam, un trafficante masochista che vende armi e informazioni in cambio di percosse.
Nel suo gioco postmoderno di moltiplicazione degli intrecci e di mescolamento di diversi generi (almeno azione, noir, commedia e melodramma), Yakuza Like a Dragon si diverte a riprendere alcuno topoi del cinema yakuza, sia di quello classico, sia della rivisitazione propostane in passato dalla stesso Miike. Kazuma, coi suoi completi bianchi, sembra, a partire dal disinteressato aiuto alla piccola Haruka, l’erede di un certo stoicismo tipico dell’eroe yakuza dei film di Makino Masahiro e Takakura Ken degli anni Sessanta. Il suo antagonista, invece, nei suoi abiti sgargianti, nei suoi modi paradossali, nel sadismo che lo caratterizza appare come una filiazione del Kakihara di Ichi the Killer. Così, se, da un lato, lo scontro fra i due personaggi richiama quello fra lo yakuza buono e lo yakuza cattivo, tipico degli anni d’oro del genere, dall’altro, la loro compresenza nel film, sembra davvero essere un modo di far coesistere all’interno di uno stesso intreccio due immagini della yakuza appartenenti a due diversi momenti della storia del genere.
Il carattere metareferenziale di Yakuza Like a Dragon è del resto confermato nella scena della sparatoria nei bagni di lusso Serena, che nel carattere allo stesso tempo barocco e geometrico delle scenografie, nell’uso delle luci e dei colori pop – su tutti il rosa –, nell’organizzazione simmetrica delle coreografie richiama in tutta evidenza i capolavori del Nikkatsu Action.
Così come non manca, nel momento in cui Majima si riferisce a Kazuma e alla bambina che questi porta sempre con se, un’esplicita citazione verbale della famosa serie degli anni Settanta Lone Wolf and Cub (Kozure Ōkami), in cui il protagonista era al centro di mirabolanti scene d’azione sempre accompagnato da un bambino in carrozzina.
Appartenenti ancora alla tradizione del genere sono poi la figura dello yakuza appena uscito di prigione, poco in sintonia coi tempi nuovi (vedi le sue difficoltà col cellulare) e costretto a fare i conti col proprio passato; la guerra fra bande senza esclusione di colpi; la gerarchia violenta e umiliante che contrassegna le diverse gang dove il sopruso dell’oyabunverso i suoi sottoposti è all’ordine del giorno (valgano per tutti le mazzate che Majima assesta ai suoi uomini ogni volta che qualcuno di questi fa qualcosa di fuori posto); e, per chiudere, l’esibizione, nei momenti culminati della storia, dei vistosi tatuaggi sul petto o sulla schiena dei diversi yakuza, che rappresentano una vera e propria icona del genere e che qui ritroviamo nello scontro finale. Più vicini, invece, alla miikeiana rivisitazione del genere sono l’assunzione di un secondo punto di vista sul mondo della yakuza, quello della piccola Haruka che rimanda al bambino di Rainy Dog, e, soprattutto, la rappresentazione del mondo della malavita giapponese in una dimensione multietnica, qui assunta dal killer e dal trafficante d’armi entrambi coreani (cui si aggiunge un terzo personaggio, sempre proveniente da quel paese, e ironicamente chiamato Kim Ki-duk).
Sul piano narrativo e visivo, il film presenta alcune caratteristiche tipiche del cinema di Miike, a partire dall’suo di un montaggio che spezza la linearità della narrazione per passare frequentemente da un evento a un altro alternandone i momenti salienti, per arrivare ad effetti derivati in modo ironico dagli spot pubblicitari, come accade in modo esilarante nello scontro finale, quando Kazuma riesce ad avere la meglio sul suo rivale bevendo un integratore che sortisce gli stessi effetti che gli spinaci hanno per Braccio di Ferro.
In conclusione Yakuza Like a Dragon è forse uno fra i più riusciti film dell’ultimo Miike, ma non certamente uno dei migliori della sua lunga carriera che in passato ha conosciuto ben altre intensità. [Dario Tomasi].