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Tantei wa bar ni iru (探偵はBARにいる, Phone Call to the Bar)

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Tantei wa BAR ni iru (探偵はBARにいる, Phone Call to the Bar). Regia: Hashimoto Hajime. Soggetto: dal romanzo “La telefonata che arrivò al bar” di Azuma Naomi. Sceneggiatura: Kosawa Ryōta, Sutō Yasushi. Fotografia: Tanaka Kazunari. Montaggio: Tadano Shinya. Musica: Ike Yoshihiro. Interpreti: Ōizumi Yō, Matsuda Ryūhei, Koyuki, Nishida Toshiyuki, Taguchi Tomorowo, Machida Shion, Matsushige Yutaka, Ishibashi Renji, Yoshitaka Yuriko. Produttore: Sutō Yasushi per Toei. Durata: 125′. Uscita nelle sale giapponesi: 10 settembre 2011.
Link: Sito ufficialeMark Schilling (Japan Times) 
Punteggio ★★★1/2   

Nel quartiere a luci rosse di Susukino di Sapporo, un detective privato senza nome (Ōizumi Yō) beve con il suo socio Takada (Matsuda Ryūhei) nel suo bar abituale. Arriva la telefonata di una donna che si presenta come Kondo Kyōko (Machida Shion) e gli chiede di fare un semplice lavoro. Poco dopo aver iniziato il lavoro, il detective viene catturato da un gruppo di yakuza e sepolto nella neve. Tratto in salvo da Takada, cerca vendetta e viene coinvolto in una girandola di eventi criminosi in cui nulla è come sembra …
Azuma Naomi è autrice della serie di mistery “Il detective di Susukino”. Il film è tratto dal secondo romanzo della serie – La telefonata che arrivò al bar – mentre ha preso come titolo – Il detective è al bar – il titolo del primo romanzo della serie. Il titolo inglese del film, invece, mette fine alla confusione ispirandosi direttamente al titolo del romanzo anziché al titolo originale della pellicola.
Hashimoto Hajime è un veterano delle serie televisive poliziesche e mistery e ha firmato alcuni titoli destinati alla sala, tutti riferiti al mondo della yakuza (Shin jingi naki tatakai/Bōsatsu, Gokudō no onnatachi: jōen). La cifra di questo film ricorda il gioco dell’Othello: pedine con due facciate, una bianca e una nera, che può accadere si ribaltino da un momento all’altro. Tutto ha una doppia faccia, a partire dall’atmosfera del film: un mix spiazzante di humour e violenza, dove spesso l’uno è la faccia alternativa dell’altro. Gli ingredienti del genere hardboiled ci sono tutti: il detective, la dark lady, l’alcool consumato nei bar con il barista filosofo o silenzioso e discreto complice, le pistole – ma qui si vedono poco, siamo in Giappone: sono più i pugni e le mosse di karate a risolvere le controversie. E, ovviamente, non mancano i gangster. Ma niente è quel che sembra: la parte “nera” della società può avere anche una faccia bianca o nuda. Bianca come l’armatura del paladino della giustizia (personaggio tragico affidato a Nishida Toshiyuki, ottimo anche nei ruoli drammatici ma noto soprattutto per quelli brillanti); bianca come il candore dell’abito dell’angelo Koyuki, che forse nasconde l’anima nera del diavolo; nuda come la pelle dell’uomo nato con la faccia da yakuza (Matsushige Yutaka), che però sotto i vestiti non nasconde tatuaggi. Con questo genere di personaggi il detective senza nome può allearsi per compiere la sua vendetta (o proteggere la donna che ama senza volerlo ammettere?). 
Una buona parte del film è giocata sull’ironia e l’autoironia del protagonista, che lo rende diverso, sotto certi aspetti, dallo stereotipo dell’investigatore del noir americano. Anche la città, di regola ostile, fatta di strade buie e di gente cinica e disperata, qua è scintillante, amica, solidale, e al suo interno il detective si muove con disinvoltura, ben integrato nel sottobosco che la popola. Susukino, il quartiere del divertimento notturno per adulti nella città di Sapporo, è il protagonista non accreditato del film, insieme ai continui riferimenti alla storia e alla cultura dell’ Hokkaido. Lo stesso attore scelto per la parte principale è una star locale. 
Quello che forse manca è un atteggiamento critico. Si accenna alla speculazione edilizia e alla conseguente urbanizzazione selvaggia, si fa riferimento alla crisi, alla disoccupazione e al coinvolgimento della malavita nella cosiddetta “ripresa economica”  ma alla fine i colpevoli vengono individuati, il giovane viene redento dalle sue colpe e tutto continua come prima. Con la massima fiducia in un sistema che prima o poi risolve tutto. Semmai c’è un’amara considerazione sul destino di noi esseri umani, che veniamo al mondo senza averlo deciso ritrovandoci in un ambiente, in un corpo, con un cervello che non abbiamo scelto, e ci viene imposto di vivere la vita, anche se alcuni poi non ce la fanno a starle dietro”. [Nadia Faienza]
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