Shin dai san no gokudō – Boppatsu Kansai gokudō sensō (新第三の極道・勃発関西極道戦争, New Third Gangster: Outbreak Kansai Yakuza Wars). Regia: Miike Takashi. Soggetto: da un manga di Murakami Kazuhiko. Sceneggiatura: Murakami Kazuhiko. Fotografia: Miyajima Masahiro. Montaggio: Fujiwara Kōji. Musica: Atelier Selah. Interpreti e personaggi: Nakajo Kiyoshi (Masaki Reijirō), Shimizu Kōji (Hattori), Nakayama Tagoro (Atsushi), Caesar Takeshi (Hazama), Sone Harumi (Sona), Sakata Masahiko. Produzione: Maeda Shigeji, Iwashimizu Masahiro, Matsunaga Hikoichi, Taniguchi Masaru per Office Nakajo, Excellent Film. Durata: 87’. Prima proiezione in Giappone: 20 gennaio 1996.
Punteggio ★★1/2
Secondo atto di una vera e propria trilogia, New Third Gangster (preceduto da The Third Gangster, 1995, e seguito da New Third Gangster 2, 1996), riprende le vicende dello yakuza Masaki Reijirō, personaggio in cui riecheggiano, pur con qualche ambiguità, i miti del tradizionale ninkyō eiga degli anni Sessanta. Masaki si è appena unito al clan di Hattori, a cui nel passato aveva risparmiato la vita, ed è da questi nominato suo futuro successore. Il “giovane capo” dovrà tuttavia vedersela col brutale Kazama, che aspira lui al posto ora occupato da Masaki. Oltre a disegnare il ricorrente motivo della guerra interna ad una famiglia (ikka), The Third Yakuzasi costruisce, in particolare, sul tema della lotta per la successione al ruolo di (futuro) capo (oyabun), che trova il suo culmine nella scena della riunione che deve indicare l’erede di Hattori, nel corso della quale Masaki umilierà Kazama, costringendolo a recedere dalle sue intenzioni. Il film è anche attento al cerimoniale della yakuza, come testimonia la lunga scena dello sakazuki shiki, lo scambio delle coppe di sakè, in cui Masaki è ammesso nella ikka attraverso un meticoloso rituale che, alla presenza di un cerimoniere (torimochinin), lega indissolubilmente l’oyabun al suo kobun, l’adepto di rango inferiore, sulla base di un legame che implica un atteggiamento di protezione da parte del primo, e di fedeltà da parte del secondo. Come già indicato, Masaki ripropone molte della caratteristiche dello spirito di cavalleria (ninkyō) proprie dell’epopea del cinema yakuza: fedeltà, dedizione, altruismo e discrezione sono solo alcuni dei tratti che lo contrassegnano in tale direzione. In particolare, Masaki si caratterizza per la sua generosità: si prende cura del giovane Atsushi in ospedale, paga il medico disposto a curare lo stesso Atsushi gratuitamente nonostante sia in gravi difficoltà finanziarie, fa avere del denaro alla famiglia di uno yakuza morto. Altrettanto indiscutibili le sue qualità di uomo d’azione, come, soprattutto, testimonia la scena in cui dimostra a tutti la viltà di Kazama sfidandolo alla roulette russa e ridicolizzandolo. Se Masaki è un “vero yakuza” (le virgoletta sono d’obbligo per la dimensione puramente immaginaria della definizione) lo è anche per il suo carisma, per la sua autentica adesione agli ideali del mito che rappresenta, per la consapevolezza che, come lui stesso dice, «essere yakuza è essere diversi». Il senso di fratellanza che lo guida lo porta ad essere circondato da un gruppo di fedelissimi, disposti come lui a mettere in gioco la propria vita quando i fatti lo richiedono. Ma in Masaki c’è anche qualcosa di diverso rispetto alle figure archetipiche del genere, qualcosa di ambiguo che il film sembra non voler chiarire. Perché Masaki si è unito al clan di Hattori, quei Tōdō che un tempo gli erano rivali? Perché non interviene a salvare Yuko, la proprietaria del bar da lui frequentato, quando questa è rapita dagli uomini di Masaki? Altrettanto sfuggenti le sue tendenze sessuali: Masaki non ha una donna e frequenta un club di travestiti denominato “La bella e la bestia”, il cui gestore è uno dei suoi più fedeli accoliti. Senza che il film ne espliciti una possibile omosessualità, gli indizi che in tale direzione si muovono sono più di uno (nella sostanza il sottotema dell’omosessualità presente nelle forme dell’esasperato senso di fratellanza di molto cinema yakuza classico è qui portato un po’ più a galla che altrove).
Un altro aspetto interessante del film è quello di aver incluso al suo interno la tragedia del terremoto che colpì Kōbe il 17 gennaio del 1995 provocando la morte di 6.434 persone. Le conseguenze dell’evento sono mostrate non solo in alcune immagini documentarie, ma per così dire anche narrativizzate, attraverso il racconto dei saccheggi operati nelle case abbandonate e della rinascita del mercato nero, a creare un clima non molto diverso da quello del Giappone del secondo dopoguerra che rimanda ai jitsuroku eiga (docudrama) di Fukasaku Kinji degli anni Settanta.
La struttura narrativa di The Third Gangsterricorre in diversi momenti a brevi flashback che non solo rimandano al primo episodio della serie, ma danno anche vita all’idea dell’immanenza di un tragico passato in un presente che di esso non si può dimenticare, facendo dello yakuza protagonista un uomo prigioniero di una sorta di fato ineluttabile.
Come accade per altri Original Video di Miike, anche questo ha nella sua sceneggiatura il punto forse più debole, in particolare per quel che riguarda l’eccessivo numero di personaggi che sembrano inseriti a forza nel racconto, con l’unica funzione di introdurvi nuovi punti di svolta (come accade verso la fine del film per l’hostess Akemi, amante del malvagio Kazama, che ad altro non serve che ad essere la passiva protagonista di una scena, dove, in un love hotel, viene drogata e messa così nelle condizioni di confessare il nascondiglio dell’amante). L’impressione che se ne ricava è quella di una storia scritta a pezzi e bocconi, un po’ come un feuilleton a puntate, senza soverchie preoccupazioni per l’organicità del tutto.
Qui è la, qualche momento, qualche episodio e qualche immagine già accennano alla geniale inventiva del miglior Miike ed alcuni aspetti che diverranno peculiari al suo modo di intendere il cinema: l’intermedialità (le riprese video dello stupro di Yuko), l’ironia (il televisore a gettoni usato da Kazama per vedere questo stesso video che, per due volte, si interrompe “sul più bello”), l’uso espressionista delle luci e dei colori (i capelli verdi di Yuko che rientra sconvolta nel suo bar dopo le violenze subite), il senso dello spettacolo (il detective Sone che mima goffamente i colpi di arti marziali assestati da Tokuzo, il travestito culturista, agli sgherri rivali), gli accentuati effetti di quadro nel quadro (l’assassinio del braccio destro di Kazama da parte di quest’ultimo ripreso al di qua di una finestra) e le attrazioni formali (l’inquadratura in split screen del flash back di Masaki e Hattori in cui le immagini dei due sono divise da una linea diagonale colorata di rosso). [Dario Tomasi]