Dai giornali giapponesi: Kono sora no hana – Nagaoka hanabi monogatari (この空の花 ― 長岡花火物語, Casting Blossoms to the Sky)
Il grande terremoto del Giappone orientale [marzo 2011] ha posto i giapponesi di fronte a una quantità di problemi grande come mai prima di allora. Molta gente è immersa nei problemi che ha davanti e si rende conto che non riesce a far niente. Dare degli spunti alle persone che si trovano bloccate in questo tentativo di risolvere la situazione: questo è il tipo di film che ha fatto Ōbayashi Nobuhiko.
Un’opera nata su suggestione dei fuochi artificiali di Nagaoka, città della prefettura di Niigata. I fuochi sono intrisi delle preghiere per la pace e la ricostruzione e ravvivano il cordoglio per le tante persone scomparse per i raid aerei dell’ultima guerra o per i terremoti che hanno colpito ripetutamente la zona. Allo stesso tempo però svolgono il ruolo di continuare a trasmettere il senso di un passato doloroso. Pensare ai morti, guardare al passato. Che significato ha tutto ciò? Ōbayashi non ne fa un ritratto astratto ma trasmette agli spettatori emozioni concrete.
Nell’estate del 2011, Endo Reiko (Matsuyuki Yasuko), inviata di un giornale locale, arriva a Nagaoka per un viaggio privato. Il motivo è la lettera di un suo passato fidanzato (Takashima Masahiro). La donna viene toccata dai sentimenti delle persone comuni e dalla storia di Nagaoka, fatta di ricostruzioni dai disastri della guerra e dei terremoti, ma il modo in cui il film mostra il suo percorso non è certo ordinario.
Il film mostra le immagini e fa sentire la voce dei fatti del passato legati al presente. Dà corpo ai defunti e li fa coesistere con i viventi. La Nagaoka del film è un paese delle meraviglie che miscela il passato e il presente, i morti e i vivi.
Molte cose in questo film possono sembrare assurde. Innanzitutto è un film che sorprende. Anche dal punto di vista della tecnica cinematografica è una cosa fuori dai soliti schemi. I dialoghi sono veloci e per facilitare la comprensione sono stati addirittura inseriti i sottotitoli in rapida successione. Ōbayashi ricorre a tutti i mezzi a disposizione per trasmettere effettivamente la storia e i pensieri di coloro che non ci sono più.
Come risultato, il film, man mano che cresce di intensità, fa cambiare la consapevolezza degli spettatori. La percezione cui si giunge è che le cose che ci vengono mostrate in fin dei conti sono le cose che abbiamo cercato di non vedere o di non sentire. Nelle scene finali c’è un attimo in cui un sogno diventa realtà ma fa venir voglia di crederci sinceramente.
Dopo il grande terremoto, molti giapponesi sono venuti a desiderare delle certezze per vivere e il film vuole ricordarci l’importanza della capacità di immaginazione per poter distinguere queste certezze. E lo fa in maniera impetuosa. Se si guardano solo le cose che ci stanno davanti agli occhi ci sono cose importanti che non si possono scoprire, ci sono persone importanti che non si possono incontrare. Ōbayashi si impegna con tutte le sue forze a farcele percepire naturalmente.
(Onda Yasuko – Yomiuri Shinbun, 18 maggio 2012)
[Traduzione libera di Franco Picollo]