Mind game
I migliori film del cinema giapponese dal 2000 a oggi scelti dalla redazione di Sonatine
Mind Game (マインド・ゲーム, Mind Game). Regia e sceneggiatura: Yuasa Masaaki. Soggetto: Nishi Robin. Montaggio: Mizuta Kyōko. Direttore artistico: Hishiyama Toru. Musica: Yamamoto Seiichi. Voci e personaggi: Imada Kōji (Nishi), Maeda Sayaka (Myon) Fujii Takashi (il vecchio) Takuma Seiko (Yan). Produzione: Tanaka Eiko per Studio 4°C. Distribuzione: Asmik Ace Entertainment. Durata: 103’. Uscita nelle sale giapponesi: 7 agosto 2004.
Japan Media Arts Festival 2004: Animation Division Grand Prize. Fantasia Festival (Canada) 2005: Miglior film, miglior regista e miglior sceneggiatura. Mainichi Film Awards 2005: Premio Ōfuji Noburō.
Nishi è un giovane qualunque, ventenne aspirante manga-ka ma insoddisfatto della sua vita. Un giorno incontra per caso l’amica d’infanzia Myon sulla metropolitana, ragazza di cui è innamorato fin dall’infanzia. Il fatto che la prosperosa signorina il giorno seguente si debba sposarei, gli fa ritornare in mente le varie occasioni perse quando entrambi si erano dichiarati il proprio amore. I due si recano in un izakaya(tipico bar giapponese) gestito dalla sorella di lei. La situazione si complica quando due yakuza irrompono nel locale per riscuotere dei soldi dal padre di Myon. Scoppia una lite e Nishi viene ucciso, finendo in un improbabile aldilà dove rivede la scena della sua morte magnificata infinite volte e incontra un dio multiplo. Nishi riesce a scappare dalla divinità che si convince di dargli una seconda opportunità, e ritorna così al momento della sua uccisione che riesce questa volta a evitare, uccidendo lui uno dei due yakuza. Nishi, Myon e la sorella scappano a bordo di un’auto e dopo un lunghissimo inseguimento precipiteranno giù da un ponte, dove verranno biblicamente inghiottiti da un’enorme balena. Qui i tre incontrano un vecchio che da trent’anni vive all’interno del mammifero, dapprima si disperano, ma poi, cogliendo il lato positivo della cosa, gioiscono, fanno l’amore, ma, soprattutto, ricordando ognuno il proprio passato, le possibilità perse e le scelte compiute, avranno la possibilità di maturare. Finalmente decidono di provare ad uscire dalla balena a bordo di una barca a remi, una volta fuori dal cetaceo potranno ricominciare la loro vita.
Realizzato dalla casa di produzione Studio 4°C e uscito nel 2004, lo stesso anno di Howl’s Moving Castle di Miyazaki Hayao e Innocence di Oshii Mamoru, Mind Game è qualcosa di assolutamente unico anche nel pur così variegato mondo dell’animazione giapponese. Ciò che lo caratterizza è il suo essere, in tutta evidenza, un gioco, un game appunto, con gli stili, con quello stesso concetto di animazione filtrato da un gusto per l’eccesso, sia nei disegni sia nelle trovate narrative, che è la firma di Yuasa Masaaki fin dai suoi esordi con l’irriverente serie degli anni Novanta Crayon Shin-chan.
Mind Game è uno straripare di immagini e idee, dove momenti di pura surrealtà, che sembrano usciti da un’opera di Roland Topor, si alternano a inserti brevissimi e carichi di un assoluto senso di caducità. Il passare del tempo, i ricordi e le strade prese, così come quelle perse, sono i temi che concettualmente vi si intrecciano fornendo l’ossatura del film. Lo testimoniano già i primi tre minuti, quando in un serratissimo montaggio sono mescolati spezzoni di ricordi di tutti i personaggi che incontreremo, e che questi più avanti avranno, in uno psichedelico e caotico flash forward che si conclude con l’apparizione del titolo Mind Game sui petali rotanti di una margherita. Yuasa, del resto, ai temi della memoria, del passato e della dispersione nell’oblio delle vite, ritornerà con maggiore insistenza e profondità nel 2008, quando con la casa di produzione Madhouse realizzerà la serie animata Kaiba, probabilmente il suo capolavoro.
Come si diceva poco sopra, il regista giapponese ed i suoi collaboratori si divertono ad usare una serie di stili diversi, provano a raccontare la storia ora con un’animazione per così dire tradizionale, ora grottesca, con l’uso di CG; altre volte con l’inserimento di alcune parti live (i visi dei protagonisti sono, nelle fasi iniziali, quelli di famosi personaggi televisivi nipponici) o con un registro comico di bassa lega, fatto di battutacce, oppure con attimi di lirismo. Insomma un patchworkdi stili ed approcci che se di primo acchito può lasciare di stucco lo spettatore, ed anche irritarlo, nel proseguio del film finisce per avere la sua logica, anche se perversa: una logica che, se ci si lascia andare, ci guida dentro l’immaginazione e le fantasie dello stesso Yuasa.
In questo luna park di immagini, l’apice per rimandi surrealisti e carica d’avanguardia è raggiunto in due diverse parti del film. La prima è quella in cui Nishi, ucciso, si ritrova all’interno di una specie di buia camera, dove l’attimo della sua morte gli viene mostrato all’infinito. Il ragazzo toccando il nero delle pareti si rende conto che si tratta di una specie di tessuto e quindi lo toglie. Ora, in uno spazio accecante e bianco, gli si presentano una serie di personaggi/creature che cambiano ad ogni inquadratura. La creatività di Yuasa qui si libera senza freni ed ecco apparire una persona con testa di pesce che fuma, una donna prosperosa che gli offre il suo seno, mostriciattoli di vari colori (che ritornano quasi in tutti i lavori del regista), un ghepardo e altri esseri ancora più indescrivibili che vanno a formare un insieme indecifrabile che Nishi scoprirà esser nientemeno che dio. Comica, esagerata, senza senso questa è senza dubbio una delle più efficaci rappresentazioni di dio, o delle divinità che dir si voglia, mai fatta in un film.
La seconda scena in cui lo sperimentalismo di Yuasa raggiunge il suo massimo la troviamo quando i tre protagonisti sono all’interno della balena in compagnia di un uomo anziano. In un momento di frustrazione assoluta, dovuta alla rassegnazione di trascorrere il resto dei propri giorni all’interno del cetaceo, il gruppo si reca, guidato dal vecchio, in una zona che il barbuto personaggio definisce come atta al divertimento e alla spensieratezza. Bandendo ogni sentimento di depressione, la scena muta all’improvviso in una sorta di siparietto comico dove i quattro ballano sulle note sempre più veloci di un motivetto spensierato, e, pochi istanti dopo, in una sorta di sogno di liberazione sessuale, Nishi e compagni giocano al salto dell’asta con il membro di questi e quello del vecchio, diventati due lunghissime canne di bambù. Qui, oltre ad una ulteriore semplificazione del tratto che diventa quasi bambinesco, in una sorta di regressione nel proprio inconscio, spicca lo sperimentale uso del colore, fatto di rossi caldi, rosa e blu che quasi abbagliano. I volti dei personaggi deformati, il pavimento e lo spazio che si curva, facendoceli apparire per frazioni di secondo quasi dei demoni, danno alla scena quel sapore lisergico e psicotropo, di avvicinamento alla mente quindi, che è uno dei fulcri del film.
Ma se Mind Game fosse solo sperimentazione ed avanguardia risulterebbe indubbiamente artificioso e fine a se stesso, la bravura di Yuasa è quella di mettere il suo talento eccessivo e visionario al servizio di una storia, che per quanto spiazzante e caotica possa sembrare, rimane il perno che permette al film di non disintegrarsi in un vuoto meccanismo di comicità. La parte dentro la balena è in questo senso la più importante: l’isolamento dal mondo esterno, il poter concentrarsi solo su sé stessi e le persone che ti sono vicine, permette ad ognuno dei protagonisti di venire a patti con il proprio passato, le proprie scelte di vita, e quindi il presente e ciò che determinerà il futuro. Mind Game è un film d’animazione che sa creare e sviluppare dei personaggi meglio di quanto non accada in molti film dal vero e con uno sviluppo narrativo lineare. Grande merito va dato anche alla musica dell’ex «Boredoms» Yamamoto Seiichi, malinconica e toccante nei continui flashback, straniante nei siparietti comici oppure martellante ed ipnotica nelle scene d’azione. Esemplare in questo senso sono i cinque minuti di delirante e festosa percussione che accompagnano l’uscita dalla balena, una sperimentazione nella sperimentazione. [Matteo Boscarol]