Giri giri no onnatachi (ギリギリの女たち, Women on the Edge)
Giri giri no onnatachi (ギリギリの女たち, Women on the Edge). Regia, soggetto e sceneggiatura: Kobayashi Masahiro. Fotografia: Nishikubo Hiroichi. Montaggio: Kaneko Naoki. Interpreti: Watanabe Makiko, Nakamura Yūko, Fujima Miho. Produttori: Kobayashi Masahiro, Nishi Kenjirō, Takama Daisuke. Durata: 101′. Uscita nelle sale giapponesi: 28 luglio 2012.
Link: Sito ufficiale – Nicholas Vroman (a page of madness)
Punteggio ★★★1/2
In una zona rurale vicino a Kesennuma, paese letteralmente spazzato via dallo tsunami dell’11 marzo dell’anno scorso, si ritrovano dopo circa 15 anni le tre sorelle di una famiglia i cui genitori sono ormai morti da anni. La più piccola è l’unica ad essere rimasta, sola, a prendersi cura della casa ormai deserta. La sorella maggiore vive infatti a New York dove ha tentato la strada della danza mentre quella di mezzo abita a Tokyo. Dopo la sorpresa iniziale, le tre donne non si vedevano e non tenevano contatti da più di un decennio, poco a poco si aprono rivelando i drammi personali che pesano sulle loro esistenze.
Kobayashi Masahiro è stato colpito direttamente dal disastro del 2011, la sua casa (nei pressi di Kesennuma) è infatti stata spazzata via dallo tsunami. Nonostante ciò ci regala un film minimalista e scarno nella messa in scena, preferendo “usare” il disastro per riflettere sul comportamento che ogni giorno portiamo avanti, sulle nostre scelte alla luce di un avvenimento che azzera mentalmente pregiudizi, modi di pensare e quasi svegliandoci dal sonno quotidiano. Ecco allora la decisione delle due sorelle maggiori di ritornare alla casa dei genitori ormai scomparsi dopo più di un decennio, una visita al “furusato” (paese natale, in giapponese) che solo un avvenimento eccezionale avrebbe potuto innescare. Il film si apre con la sorella maggiore davanti all’entrata della casa, la seguiamo fin quando riesce ad entrarvi, girovaga aprendo il frigo, constatando che luce non funziona e che non arriva l’acqua. A questo punto si siede, sono passati circa 10 minuti e non è stata proferita alcuna parola, e gli unici suoni che accompagnano le immagini sono quelli degli insetti dall’esterno e delle porte aperte dalla donna. Seduta sul tatami, si accende una sigaretta e a questo punto vediamo di spalle entrare nell’inquadratura la sorella di mezzo. Le due cominciano così a scambiare qualche parola prima e poi quasi a litigare. Questa inquadratura fissa dura circa trenta minuti donando al dialogo un senso di scarna e realistica rappresentazione teatrale. I volti delle due donne sono ripresi da una certa distanza, non ne vediamo chiaramente i tratti, e ciò contribuisce a dare più spessore alle parole, vacue e un po’ perse quelle della sorella di mezzo e a scatti urlate, quasi isteriche, quelle della più grande. Negli ultimi dieci minuti di questa inquadratura lunga e continuata, entra anche la sorella minore, che è quella che si è presa cura della casa in tutti questi anni. Irata verso le altre due, grida loro di andarsene, camminando poi verso la macchina da presa ed entrando quindi in primo piano. La “danza” delle tre orchestrata da Kobayashi continua durante la discussione, con la sorella di mezzo, vestita con un abito giallo, che si sposta sul lato destro dell’inquadratura in primissimo piano. Lo shot finisce quando le tre in qualche modo si riappacificano e le due sorelle minori decidono di andare a prendere qualcosa da mangiare. Ma la casa si trova molto distante dal primo supermercato e quindi la strada da fare a piedi è parecchia. In questa parte, la camminata dal supermercato a casa, Kobayashi ci mostra le due donne attraversare le zone colpite dallo tsunami. Nel frattempo, la maggiore, inquadrata in un primissimo piano ravvicinatissimo che inonda lo scherma, ci racconta il dramma di aver perso il suo amato, deceduto l’undici settembre nell’attentato al World Trade Center, e a questo punto sviene. Dormirà in uno stato di semincoscienza per quasi tutto il resto del film svegliandosi solo nel finale. Le lunghe inquadrature continuano, in interni, la mattina prestissimo nel giardino e vicino al mare. Tutte spiccano per l’eccellente illuminazione e per il senso di sconfitta e di tristezza che riescono a comunicarci. Sono questi infatti i due sentimenti che pervadono questo film tanto volutamente antispettacolare nella forma quanto intenso nelle performance straordinarie delle attrici. L’esistenza delle tre donne ha veramente raggiunto il fondo, una che dorme e danza per cancellare il dolore, l’altra che anche per problemi mentali ha distrutto il suo matrimonio perdendo figlio e marito ed era venuta a Kesennuma per suicidarsi, e la minore che per l’assenza di una vera e propria famiglia aveva cominciato a rubare e prostituirsi.
Il disastro dà alle tre la possibilità di azzerare e di ricominciare, riconsiderando il valore delle piccole cose, come prepararsi i pasti o scaldarsi davanti alla vecchia stufa appartenuta al padre pescatore. C’è poi un’insistenza nei dialoghi sulla frase, riferita alla sorella che sta dormendo, “se respira, significa che è viva! è così e basta”. A voler indicare forse che finchè si è in vita c’è sempre, indipendentemente da ciò che ci è successo, la possibilità di ripartire. [Matteo Boscarol]