Henge (へんげ, Metamorphosis)
Henge (へんげ, Metamorphosis). Regia, sceneggiatura e montaggio: Ōhata Hajime. Fotografia: Shinomiya Hidetoshi. Luci: Tamagawa Naoto, Hoshino Yōkō. Direzione artistica: Itō Jun, Noma Hayato, Fukui Sayaka. Effetti speciali: Taguchi Kiyotaka. Musiche: Nagashima Hiroyuki. Interpreti: Aizawa Kazunari, Morita Aki, Nobukuni Teruhiko. Produttori: Nagura Ai, Fujioka Shinsuke, Katō Aiaka. Durata: 54′. Uscita nelle sale giapponesi: 10 marzo 2012.
Yoshiaki e sua moglie Keiko vivono la loro tranquilla quotidianità ma ad un certo punto l’uomo comincia ad essere affetto da crisi di stampo quasi epilettico. Con la progressione di questi attacchi, che avvengono in maniera del tutto casuale, Yoshiaki comincia a subire delle mutazioni, in primo luogo quella di un braccio che si trasforma in qualcosa di inumano. La situazione peggiora quando la moglie, suo malgrado, decide prima di chiamare un’esorcista e poi di far rinchiudere l’amato marito in un ospedale. Riuscito a scappare, Yoshiaki progredirà nella sua mutazione e scatenerà la sua violenza in giro per la città.
Henge è l’opera prima del giovane Ōhata Hajime che col suo corto Daikenju (The Big Gun), proiettato nelle sale giapponesi insieme al film qua recensito, aveva vinto un riconoscimento al Pia Film Festival del 2007.
Ispirato al glorioso filone del tokusatsu eiga (cinema di supereroi e/o effetti speciali), Henge ne èanche la variante contemporanea, tanto per il budget irrisorio con cui è stato girato che per la fantasia e l’inventiva che il regista riesce ad infondere nel suo lavoro. Le tematiche affrontate sono quelle già viste in moltissimi illustri predecessori, il mostruoso, l’amore verso l’altro/l’alieno, in questo caso da parte della moglie, e l’incapacità della società di accettare questa diversità. Henge è prima di tutto un film che vuole intrattenere e che gioca con i generi strizzando l’occhio soprattutto al lato kaijū (mostri) della serie Ultra-Qrealizzata dalla Tsuburaya Productions nel 1966.
La parte migliore del film è quella che porta al delirante finale, su cui ritorneremo. Ottima davvero la prova di Aizawa Kazunari nell’impersonare con salti, contorsioni e grida primigenie, un uomo impossessato da qualche imprecisata identità. Ma il pregio maggiore del film, talento che emerge già nel corto premiato al PiaFilmFest, è la capacità di Ōhata di creare atmosfera e tensione, grazie ad un ottimo framing e a movimenti di macchina sempre ben calibrati uniti ad una musica davvero evocativa.
La parte migliore del film è quella che porta al delirante finale, su cui ritorneremo. Ottima davvero la prova di Aizawa Kazunari nell’impersonare con salti, contorsioni e grida primigenie, un uomo impossessato da qualche imprecisata identità. Ma il pregio maggiore del film, talento che emerge già nel corto premiato al PiaFilmFest, è la capacità di Ōhata di creare atmosfera e tensione, grazie ad un ottimo framing e a movimenti di macchina sempre ben calibrati uniti ad una musica davvero evocativa.
Il finale dicevamo. Croce e delizia di Henge, ne rappresenta insieme i limiti e la sublimazione. Eccessivo, comico, straniante e fortemente nichilista, non può che lasciare a bocca aperta, anche se per non svelare di più non possiamo dire altro. Se proprio un paragone illustre dev’essere fatto per dar l’idea che tipo di film sia Henge, al di là delle evidenti ispirazioni come Tsukamoto e Cronenberg che però tali restano, Ohata potrebbe essere paragonato, se la sua carriera continuasse su questi binari, al primo Carpenter. Tanto per la costruzione d’atmosfere di cui si diceva, che per l’uso della musica e naturalmente per il tocco da b-movie che caratterizza in positivo questo esordio. [Matteo Boscarol]