I migliori film del cinema giapponese dal 2000 a oggi scelti dalla redazione di Sonatine
Tasogare seibei (たそがれ清兵衛, The Twilight Samurai). Regia: Yamada Yōji Soggetto: dal romanzo di Fujisawa Shūhei. Sceneggiatura: Yamada Yōji, Asama Yoshitaka. Fotografia(colore): Naganuma Mutsuo. Montaggio: Ishii Iwao. Costumi: Kurosawa Kazuko. Musica: Tomita Isao. Interpreti e personaggi: Sanada Hiroyuki (Saibei Iguchi), Miazawa Rie (Iinuma Tomoe), Kobaashi Nenji (Kusaka Chōbei), Ohsugi Ren (Kōda Toyotarō) Fukikoshi Mitsuru (Iinuma Michinojo), Tanaka Min (Zenemon Yogo), Itō Miki (Iguchi Kayano) Hashiguchi Erina (Iguchi Ito) Kasaura Reiko (madre di Iguchi). Produzione: Fukazawa Hiroshi, Nakagawa Shigehiro, Yamamoto Ichirō per Shochiku, NTV, Sunitomo, Hakuhodo, Nippan, Eisei Gekijo. Direzione artistica: Nishioka Yoshinobu. Durata: 129′. Uscita nelle sale giapponesi: 2 novembre 2002.
Japan Academy Prize 2003: Miglior Film , Migliore regia, Migliore sceneggiatura, Migliore attore, Migliore attrice, Migliore attore non protagonista, Miglior fotografia, Migliore direzione delle luci, Migliore musica, Migliore registrazione del suono, Migliore direzione artistica, Migliore montaggio, Miglior attore esordiente. Blue Ribbon Awards 2003: Miglior Film, Miglior attrice non protagonista. Hawaii International Film Festival 2003: Miglior Film. Hochi Film Awards 2002: Miglior film, Migliore attrice. Nikkan Sports Film Awards 2002: Miglior regia, Miglior attore, Miglior film, Miglior attrice non protagonista. Kinema Junpo Awards 2003: Miglior regista, Miglior attore, Miglior attrice, Miglior film, Miglior attore esordiente, Migliore sceneggiatura. Mainichi Film Concours 2003: Miglior attore, Miglior fotografia, Miglior film, Migliori luci, Migliore registrazione del suono, Miglior attrice non protagonista. Hong Kong Fim Awards 2004: Miglior Film Asiatico. Udine Far East Film Festival 2004: Premio del pubblico come miglior film.Altri Festival: Berlin Film Festival 2003 Chicago International Film Festival, 2003 Academy Award 2004 Chlotrudis Awards 2005 Cinema Writers Circle Awards, Spain, 2006 Nippon Connection 2009.
Nella seconda metà del XIX secolo, nella città castello del clan Unasaka vive Iguchi con le sue due figlie e una madre malata. Dopo la morte della moglie, torna abitualmente a casa verso sera per accudire la famiglia,: per questo i colleghi lo chiamano “Seibei Crepuscolo”. È un uomo che si trascura nella pulizia tanto che viene rimproverato dallo stesso Shogun. I colleghi e lo stesso zio ritengono che debba trovare una moglie. L’amico Iinuma gli dice che la sorella Tomoe, amica d’infanzia del protagonista, ha dovuto divorziare dal marito Toyotarō perché, ubriaco, la malmenava spesso. Di ritorno a casa incontra proprio Tomoe: nasce subito una simpatia fra i due e anche le bambine sono felici con la donna. Accompagnandola, una sera, incontra l’ex marito ubriaco che sfida Iinuma, ma Iguchi interviene in difesa dell’amico e accetta il duello. Si presenta nel luogo stabilito e umilia l’uomo battendolo con un bastone.
Al magazzino si presenta Zenemon Yogo, maestro delle sentinelle, amico di Toyotarō il quale gli ha chiesto di vendicarlo, ma la discussione finisce presto con le scuse del protagonista. Iinuma propone a Iguchi di sposare la sorella Tomoe, ma lui rifiuta a causa della propria condizione economica. Giunge notizia che a Edo il capo del clan è morto e al castello ci si prepara per la guerra. Nella città alcuni samurai hanno ricevuto l’ordine di suicidarsi ma Zenemon Yogo si rifiuta e, barricatosi in una casa, sfida chiunque si avvicini. Iguchi è incaricato dal signor Hori (lo Shogun) di andare ad ucciderlo. Costretto ad accettare, non senza reticenze, si prepara per la missione richiamando, dopo tempo, Tomoe alla quale dichiara il suo amore. Nella casa in cui si nasconde il maestro il duello ritarda in seguito ad una lunga discussione fra i due in cui questi tenta di ingannare Iguchi, restio ad ucciderlo. Tornato dalla famiglia ritrova Tomoe e le proprie figlie. La voce narrante della più piccola, ormai adulta, dice che la signorina Tomoe è diventata la loro madre e che sono stati felici per poco tempo perché con la restaurazione Meji è scoppiata la guerra civile in cui il padre ha perso la vita. La donna celebra il genitore presso la sua tomba in un affettuoso ricordo della figura paterna.
Il soprannome attribuito ad Iguchi che dà il titolo al film non circoscrive solamente l’esperienza individuale di un umile samurai che conduce una vita di ristrettezze, di semplici affetti ed enormi sacrifici, ma assume una valenza storica ben precisa. È la decadenza di una nobile casta di guerrieri che viene messa in scena da Yamada Yōji, nel ritratto di un’antica società che va rinnovandosi a spese di quella figura mitica che è il samurai. Ambientato verso la fine del periodo Edo in cui i samurai già perdevano quel loro prestigio di nobile casta guerriera, fino a giungere alla restaurazione Meiji (1868) in cui tale figura viene abolita a favore di un esercito nazionale, nel film sono molteplici i riferimenti allo smembramento di questa classe sociale. Si pensi ai ronin, guerrieri allo sbando di cui parla Iinuma che è stato a Kyoto di cui descrive la degradazione con corpi senza testa che galleggiano lungo il fiume. La stessa missione di Iguchi è volta all’eliminazione di un samurai ribelle, in una città praticamente in guerra per lo stesso sfaldamento della società feudale che si sta consumando.
Un tono malinconico e sentimentale sottende l’intera narrazione nelle sue prevalenti tinte tenui e cupe, nell’intensa caratterizzazione del protagonista. Una tale visione è rintracciabile nel contesto storico, nei valori della società e in quelli individuali che spesso stridono rispetto a quelli sociali, talvolta con ironia. Lui non va a bere con i suoi colleghi dopo il lavoro, non offende le donne considerandole “vacche da fiera”, come fa lo zio, preoccupato dell’onore della famiglia; invita le figlie a leggere i classici anche se la lettura è prerogativa degli uomini e non gli importa perdere il suo status di samurai per diventare contadino, come riferisce all’amico. Ma ancor più paradossale è il fatto che lui non voglia uccidere, che faccia il possibile per agevolare il suo avversario, come accade nei due duelli di cui è protagonista: quello con Toyotarō e quello con Zenemon Yogo. Contro il primo, con tono ironico e modesto, si beffa presentandosi con un bastone al posto della spada, per non ucciderlo, ma per lasciargli un doloroso bernoccolo; contro il secondo, insiste, nel pieno del combattimento all’ultimo sangue, affinché fugga senza perdere la vita, in un’esasperazione quasi grottesca del duello.
La narrazione non privilegia l’azione, la relega anzi a questi due eventi: traccia piuttosto le dinamiche affettive e i principi morali che regolano la vita del protagonista in un’ottica intimista, in una prospettiva soggettiva che è quella della figlia Ito, fonte stessa del racconto. La voce narrante assume, oltre alla sua funzione di commento, anche quella di scansione del ritmo narrativo attribuendo al racconto spiccati accenti poetici. Alcuni episodi vengono introdotti o si concludono con la voce della donna che genera un vero e proprio dialogo con l’immagine, producendo ellissi e dissolvendo di fronte alla scena filmata da una cinepresa fissa. Ne è un esempio l’alterco con lo zio che verte sullo stile di vita trascurato di Iguchi il quale culmina con le parole della donna: «“Non aspettarti altro aiuto da me…,” gridò lo zio, …e se ne andò indignato». Oltre a collocare nel passato la vicenda, la soluzione stilistica genera un’ellissi temporale tramite la quale la battuta della donna omette la scena narrandola. Inoltre, il passaggio dal discorso diretto a quello indiretto accentua il carattere letterario di un racconto metanarrativo in cui l’istanza narrante si duplica nella figura della figlia narratrice, la quale, nella scena finale, rivela la natura di lungo flashback dell’intera vicenda, riassumendo le sue considerazioni amorevoli sull’esistenza del padre.
Al minimalismo del racconto corrisponde un tono crepuscolare che trova espressione anche in termini figurativi, attraverso una prevalente luce contrastata, una fotografia che pone costantemente in rapporto la penombra e la luminosità, la superficie e la profondità di campo. Gli esterni ritraggono il protagonista tornare a casa in quell’ora della sera in cui l’oscurità inizia ad avvolgere il paesaggio. Gli interni sono prevalentemente bui e dimessi dove spesso l’uomo è accanto al fuoco, insieme con le figlie, illuminate dalla calda e debole luce delle fiamme. Solitamente una piccola fonte luminosa irradia soffusa da una lampada come da una finestra situata sul fondo. Ma anche nel magazzino irrompe la luce del giorno attraverso una porta che si apre in profondità, quando giunge lo Shogun a fare visita, oppure, quando entra in scena Zenemon Yogo. Proprio nel duello con quest’ultimo convergono gli elementi narrativi e stilistici qui delineati: la nostalgica fine di un’epoca con la sua crisi sociale, lamentata dal samurai ribelle e l’oscurità prevalente, l’atmosfera di un vero e proprio tramonto che si rende palpabile nelle figure umane che divengono ombre, nella luce tagliente che filtra dalle fessure polverose, in uno spazio senza via d’uscita, labirintico, la cui tensione è alimentata dalla costante dialettica fra superficie e terza dimensione, nella disposizione delle stanze e dei personaggi. [Davide Morello]