GFP Bunny
GFP Bunny (id.). Regia, soggetto, sceneggiatura e montaggio: Tsuchiya Yutaka. Fotografia: Iizuka Ryō. Interpreti e personaggi: Kuramochi Yuka (la ragazza), Watanabe Makiko (la madre), Furutachi Kanji, Takahashi. Produzione: W-TW Office. Durata: 82’. Prima proiezione in Giappone: Tokyo International Film Festival 22 ottobre 2012.
Links: Screen Daily – Uno Port Art Films
Midnight Eye Interview – Jasper Sharp
Videoartista di una certa fama, Tsuchiya Yutaka (1966) si è già guadagnato uno suo piccolo, ma rilevante, posto nel cinema giapponese contemporaneo, prima col documentario The New God (1999), su di una punk rock band nazionalista, e poi col film di finzione PEEP “TV” SHOW (2003), che verte sul tema del rapporto fra la realtà e internet. Entrambi i film sono stati mostrati in diversi festival e hanno ottenuto il premio Fipresci, il primo a Yamagata e il secondo a Rotterdam. Anche il suo ultimo lavoro, GPF Bunny, ha vinto il primo premio della sezione «Japanese Eyes», quella dedicata al cinema indipendente e sperimentale, all’ultimo Tokyo Film Festival. A metà strada fra documentario e fiction, GPF Bunny è un’opera complessa che affronta il tema dell’ingegneria genetica. Protagonista del film (ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto nel 2006) è un adolescente, interpretata dall’idol Yuka Kuramochi, che tenta di avvelenare la propria madre. La ragazza – vittima di bullismo – è ossessionata dall’idea di essere un testimone oculare di tutto ciò che la circonda, come un occhio meccanico, o meglio digitale, in grado di vedere tutto senza essere “colpito” – in termini affettivi – da nulla. Le immagini del film si confondono con quelle delle riprese girate – attraverso il suo cellulare – dalla stessa protagonista e con quelle di diversi siti internet – fra cui l’immancabile YouTube su cui Yuka diffonde il suo video diario e un sito dal nome Live Live Love, in cui giovani ragazze si spogliano davanti a una webcam. Fra una ripresa e l’altra, Yuka conduce anche una serie di esperimenti con piccoli animali che usa come cavia, fra cui l’adorata Priscilla, il pesciolino della madre. Questa, dal canto suo, interpretata dall’attrice di Kobayashi e di Sono, Watanabe Makiko, è ossessionata dal decadimento del proprio corpo e si affida alle cure di un chirurgo estetico.
Il film si interroga anche sui legami fra la chirurgia estetica, da una parte, e l’ingegneria genetica dall’altra, facendo anche intervenire uno scienziato, il leader di una setta religiosa e un “bio-artista”. E sarà proprio la decisione di impiantare nel proprio corpo un chip biocompatibile che spingerà la ragazza a interrompere il tentativo di avvelenare la madre.
A rendere ancora più complesso il tutto, ci sono i frequenti interventi di una voce narrante, quella dello stesso regista, cui capita a volte anche di dialogare con la protagonista, che ama ripetere come non ci sia una storia da raccontare. Finzione, realtà, sorveglianza, bullismo, internet e nuove tecnologie, chirurgia estetica, ingegneria genetica, cinema nel cinema, piercing, crudeltà verso gli animali, religione, scienza, pornografia… e chi più ne ha ne metta. [Dario Tomasi].