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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Sono Sion’s Kibō no kuni (園子温の「希望の国」, The Land of Hope)


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Kibō no kuni (希望の国, The Land of Hope). Regia, soggetto e sceneggiatura: Sono Sion. Fotografia: Miki Shigenori. Scenografia: Matsuzuka Shinichi. Suono: Komiya Hajime. Montaggio: Itō Jun’ichi. Musiche originali: Sono Sion, Gustav Mahler (10° sinfonia). Interpreti e personaggi: Natsuyagi Isao (Ono Yasuhiko), Ōtani Naoko (Ono Chieko), Murakami Jun (Ono Yōichi), Kagurazaka Megumi (Ono Izumi), Denden, Tsutsui Mariko, Shimizu Yutaka, Kajiwara Hikari, Sugawara Daikichi, Yamanaka Takashi, Kawarasaki Kenzō. Produttori: Sadai Yūji, Kunizane Mizue, Shiomaki Yūko. Produzione: Bitter End. Distribuzione: Bitter End (Giappone), pictures dept. (internazionale). Durata: 133’. Uscita nelle sale giapponesi: 20 ottobre 2012.

Il film viene proiettato oggi al 30° Torino Film Festival (altre proiezioni il 26 novembre e 1 dicembre).

Gennaio 2013. In un villaggio di campagna della prefettura immaginaria di Nagashima vive la famiglia Ono, composta dal capofamiglia Yasuhiko, dalla moglie Chieko, dal figlio Yōichi e da sua moglie Izumi. Nella casa di fronte che si affaccia sullo stesso cortile ornato di una bella aiuola fiorita, vivono i loro vicini: padre, madre, il figlio Mitsuru e la fidanzata Yoko, che viene da un paese dei dintorni. Tutti conducono un’esistenza da contadini, semplice e serena. Poi, d’improvviso, arriva un tremendo terremoto seguito dall’esplosione della vicina centrale nucleare. Le due famiglie risultano incolumi ma arrivano le forze di sicurezza e dividono il cortile in due parti: la zona della famiglia Ono è considerata non contaminata, mentre quella dei loro vicini sì. Questi vengono così evacuati a forza, mentre gli Ono possono restare a casa loro.
Qualcuno protesta sostenendo l’inutilità della linea d’evacuazione, poiché l’aria può transitare liberamente da una zona all’altra. Viene citata la tragedia di Fukushima  come un triste caso in cui chi è stato evacuato non è mai più potuto tornare a casa. Nonostante ciò, il vecchio Yasuhiko invita il figlio e la nuora a partire subito. Per convincerli ricorda loro che nel caso di Fukushima le autorità non dissero la verità nascondendo la realtà della tragedia. Dopo una resistenza iniziale, Yōichi e Izumi si convincono e partono.  
I due vivono ora in una città vicina. Sul televisore di casa scorrono programmi che invitano a “mangiare, produrre, comprare”.  Izumi, che ha scoperto di essere incinta, inizia a preoccuparsi delle radiazioni e di come proteggere il nascituro da esse, pur essendo teoricamente fuori della zona a rischio. Mentre è in ospedale, si sentono in sottofondo i battiti cardiaci di un feto rilevati da un’ecografia. La sua angoscia cresce e con essa il rumore del battito. Rientrata a casa, indossa maschera e tuta antiradiazioni e convince il marito a fare altrettanto.
Nel frattempo, i parenti di Yoko, la fidanzata di Mitsuru, sembrano morti a causa del terremoto. I due giovani partono in moto per andare a vedere di persona cosa è successo. Attraversano zone innevate, bagnate dal mare e piene di case distrutte. Passeggiando tra le rovine incontrano due bambini alla ricerca di un disco dei Beatles che, dicono, ascoltavano quando erano giovani. I bambini spariscono, forse sono fantasmi. Mitsuru e Yoko apprendono che la barriera della zona evacuata è avanzata e non possono più raggiungere la casa di lei. Cercano così di arrivarci clandestinamente.
Anche l’area in cui si trova l’abitazione del vecchio Yasuhiko è stata evacuata. Gli unici a rimanervi sono lui e la moglie. Yōichi, accompagnato dai responsabili dell’evacuazione,  raggiunge il padre per convincerlo ad andarsene, ma questi si rifiuta di farlo, dicendo che quella casa, quelle piante, quella terra sono sue, sono la sua identità. Sullo sfondo programmi televisivi invitano a dimenticare e a ridere.
Yōichi parla con il medico della moglie, il quale gli dice che gli scienziati mentono: prima Fukushima, ora Nagashima, non c’è luogo dove nascondersi. Tutti, aggiunge l’uomo, saranno colpiti dalle radiazioni. Yōichi torna a casa e decide con la moglie di andarsene, non prima però di passare a salutare il padre.
Dopo aver incontrato per l’ultima volta il figlio e la nuora,  Yasuhiko libera il cane e uccide le vacche del suo allevamento. Poi propone alla moglie, malata di Alzheimer, di morire insieme, lei annuisce e lo bacia. Uno sparo e intorno a loro tutto si incendia.
Yōichi è in macchina con Izumi. Sono lontani, finalmente tranquilli. Si fermano su una spiaggia dove c’è una madre con un neonato. Mentre Izumi, finalmente senza tuta, parla con la donna, il contatore geiger di Yōichi inizia a suonare l’allarme. Yōichi va verso Izumi, non le dice nulla e l’abbraccia.
Mitsuru e Yoko camminano sulla neve e tornano indietro. Compare la scritta “Kibō no kuni” (Il paese della speranza).
La tragedia di Fukushima si era già affacciata nel cinema di Sono, quando nel precedente Himizu, aveva aggiunto a caldo, durante la lavorazione del film, alcune immagini riferite a quei drammatici eventi.  Ora vi fa ritorno in modo più compiuto, accantonando il problema del terremoto per concentrarsi, invece, sulla questione nucleare. Consapevole di come i mezzi di comunicazione cancellano le notizie con la stessa velocità con cui le creano, Sono, andando controcorrente, vuole costringere lo spettatore a ricordare e, soprattutto, a renderlo consapevole di come gli effetti dell’esplosione nucleare di Fukushima sono più che presenti, anzi si stanno sviluppando e stanno distruggendo famiglie, comunità, vite umane.
The Land of Hope è un film maturo che riprendendo alcuni aspetti della poetica del regista (la famiglia, il rapporto col padre, la condizione di outcast) li mette al servizio di un discorso politico e civile, che ha pochi precedenti nel cinema giapponese contemporaneo.
I primi minuti del film descrivono senza retorica un universo di pace e armonia fondato sulla centralità della famiglia e della casa. Poi, dopo l’esplosione, questo mondo si disgrega e lascia progressivamente il posto alla preoccupazione per i propri cari, al dilemma se abbandonare o no la casa e separarsi dalla famiglia, alla sfiducia nei confronti delle autorità, all’angoscia per il futuro, al panico e al terrore.
Sono rappresenta questa nuova situazione con continui slittamenti dallo stato di veglia a quello di sogno e incubo, che conferiscono alla narrazione una dimensione vuoi soggettiva, vuoi simbolica: passaggi dal colore al bianco e nero per sottolineare i cambiamenti di percezione della realtà (quando vengono evacuati i vicini degli Ono); immagini surreali (un incrocio deserto in mezzo ai campi tagliato in due dal filo spinato della zona contaminata); incubi a occhi aperti (Izumi che all’uscita di una farmacia vede tutto rosso e si ritrova poi circondata da una sorta di deserto urbano); presenze fantasmatiche (i bambini tra le rovine); situazioni grottesche (lo steccato in salotto di casa Ono che divide padre e figlio, le vacche in libertà per le strade del paese, l’auto di Yōichi che passa sopra al cartello di benvenuto nella città sede della centrale nucleare); le fiamme come simbolo della catarsi finale.
Nel film non mancano momenti di tenerezza e commozione, che Sono aveva già dimostrato di saper maneggiare in Be sure to share: la lunga telefonata in cui Yōichi chiede al padre di poterlo andare a salutare per l’ultima volta, lo straziante commiato tra il signor Ono, Yōichi e Izumi; il prefinale lirico in cui Chieko, la moglie di Yasuhiko, esce di casa e, quando il marito la ritrova, danza con lui prima che egli la porti via a spalle. O, ancora, l’insostenibile scena finale in cui il vecchio punta il fucile su Chieko e decidono di morire insieme.
Anche The Land of Hope, al pari di altri film di Sono, può essere letto come una “discesa agli inferi”, ma con una differenza. Mentre in altre sue opere (da StrangeCircus a Guilty of Romance, tanto per citarne un paio) la decostruzione dell’identità e dell’equilibrio che porta alla morte ha cause più personali e soggettive, qua è dovuta soprattutto a ragioni sociali e politiche. Dall’esplosione della centrale alla gestione dell’evacuazione, sino alla diffusione delle informazioni, tutto esprime un comportamento negativo delle autorità, nei cui confronti i vari protagonisti hanno una sfiducia totale. È questo un punto che Sono sottolinea: la politica non aiuta, anzi crea problemi; l’individuo è solo di fronte alla realtà e al destino. Il comportamento delle autorità e delle istituzioni trova poi una triste corrispondenza nel senso comune. La televisione invita a mangiare, produrre, comprare e soprattutto a rimuovere. Ed in perfetta sintonia, si assiste in diverse scene a una indifferenza generale della popolazione nei confronti della radioattività. I pochi che se ne preoccupano sono considerati quasi dei pazzi o dei disturbatori, come testimonia l’episodio in cui i compagni di lavoro di Yōichi lo attaccano per le sue preoccupazioni. Essi si disinteressano del problema, anzi ritengono che porselo sia quasi offensivo nei confronti della città (che si trova al di fuori della zona considerata radioattiva dalle autorità) e dei suoi abitanti. L’attenzione ai problemi sociali è evidente anche dal modo in cui il film affronta il problema – verificatosi realmente dopo Fukushima – della discriminazione nei confronti di chi proviene da zone radioattive, come accade nella scena in cui Yōichi e Izumi in una stazione di servizio sono, proprio per questa ragione,  maltrattati e scacciati.
The Land of Hope è un unico grande incubo che può ricordare un film di fantascienza sulla fine del mondo, con la differenza che qua tutto è molto concreto e vicino. L’esito di questo incubo, sembra voler dire Sono con il triplice, angosciante finale, dipende da ognuno di noi: c’è chi perde la speranza e si suicida (il signor Ono e la moglie); chi mantiene la fiducia perché è ignaro del pericolo che lo sovrasta (Mitsuru e Yoko che tornano indietro per iniziare una vita insieme); chi, ancora, pur essendo consapevole che non c’è salvezza, decide di continuare a vivere nella provvisorietà (Yōichi e Izumi che si amano, nonostante lui sappia che anche lontano dall’esplosione c’è radioattività).
Kibō no kuni – che richiama nel titolo Ai to kibōno machi di Ōshima – è la descrizione lucida e agghiacciante di un paese senza speranza. [Dario Tomasi – Franco Picollo]
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