Aa! Ikkenya puroresu (あゝ!一軒家プロレス, Oh! My Zombie Mermaid)
Links: Cinema Strikes Back – 10.000 Bullets – Rock! Shock! Pop!
Shishio è un lottatore di wrestling, la cui moglie, Asami, ferita durante l’esplosione della propria casa, è in coma all’ospedale. Il medico curante dice all’uomo che non ci sono speranze e che anche nel caso sopravvivesse, la sua esistenza sarebbe quella di un vegetale. Quando miracolosamente la donna riprende coscienza, si scopre che è affetta da un misterioso virus, che ne sta trasformando il corpo in quello di una sirena (con tanto di orrende squame). Avvicinato da Yamaji, un produttore televisivo privo di scrupoli, Shishio rifiuta la sua offerta di girare un documentario sull’incredibile e rara malattia della moglie. L’uomo, tuttavia, ha bisogno di soldi sia per ricostruire la casa – che era il desiderio più grande di Asami – sia per pagare le cure della moglie. Accetta così un’altra proposta di Yamaji: partecipare ad un torneo di lotta contro la famigerata banda del DDD-Devil, di fatto un prezzolato gruppo di variopinti assassini. L’evento sarà trasmesso in esclusiva dalla rete televisiva di Yamaji. La notte prima dell’inizio del torneo, i compagni di lotta di Shishio sono barbaramente uccisi. L’uomo dovrà così vedersela da solo coi suoi terribili rivali. Il torneo si svolge in tre distinti round, che hanno luogo all’interno di un palazzo appositamente costruito, e Shishio riesce ogni volta, anche grazie all’aiuto di una ragazza e di due volenterosi fans del wrestling, ad avere la meglio. Ma un ultimo imprevisto combattimento lo aspetta, prima della vittoria finale.
Memore dell’ultimo Bruce Lee (quello di Game of Death), Oh! My Zombie Mermaid è un film alquanto mediocre che non sa scegliere né fra mainstream ed exploitation, né fra violenza e melodramma. Non fa ridere quando vorrebbe, né piangere quando lo fanno i suoi personaggi. Non ha nemmeno terribili cadute (quelle che tuttavia a volte rendono certi B-movies, paradossalmente, degni di essere visti), così come i numerosi combattimenti (con abbondanza di slow notion) sono sì duri, ma sempre un po’ al qua del “limite consentito”. In somma un colpo al cerchio e uno alla botte, dietro cui, forse l’unico merito del film, si legge una aperta critica all’ invasività dei media che hanno ormai perso la loro funzione di documentare il mondo, per farsi invece agenti attivi della sua degenerazione (il cattivo del film, come si evince dalla trama, è soprattutto il produttore televisivo). [Dario Tomasi]