Yume uru futari (夢売るふたり, Dreams For Sale)
Yume uru futari (夢売るふたり, Dreams For Sale). Regia, soggetto e sceneggiatura: Nishikawa Miwa. Fotografia: Yanagijima Katsumi. Montaggio: Miyajima Ryuji. Musica: Nakamura. Interpreti e personaggi: Abe Sadao (Ichizawa Kanya), Matsu Takako (Ichizawa Satoko), Suzuki Sawa (Mutsushima Reiko), Ebara Yuka (Minagawa Hitomi), Ando Tamae (Kana), Kimura Tae (Kinoshita Takiko), Tanaka Rena, Kagawa Teruyuki, Iseya Yusuke, Shokufutei Shurube. Prodotto da: Oshida Kosuke per Office Shirous, Asmik Ace Entertainment. Durata: 137’. Uscita in Giappone: 8 settembre 2012
Link: Sito ufficiale – Mark Schilling (Japan Times) – Nicholas Vroman (a page of madness)
Link: Sito ufficiale – Mark Schilling (Japan Times) – Nicholas Vroman (a page of madness)
Punteggio ★★★1/2
L’animo umano non è esattamente un “mondo buono”….
Satoko e il marito Kanya conducono una vita apparentemente felice, fino al momento in cui il loro ristorante, per un incidente, viene distrutto da un incendio. Mentre la donna cerca di far fronte alla perdita economica trovando un nuovo lavoro come cuoca in un modesto locale, il marito si lascia andare, eccede con l’alcool e una notte, ubriaco, tradisce la moglie con una donna incontrata in metropolitana. Per cercare di recuperare un minimo di solidità economica, con l’illusione di poter ricominciare una nuova vita, i due decidono di mettere a punto un sistema per truffare donne sole, che vengono ingannate da Kanya con la prospettiva di un impossibile matrimonio e indotte in questo modo a prestargli ingenti somme di denaro.
Nishikawa Miwa, il cui lungometraggio d’esordio Wild Berries del 2003 venne prodotto da Koreeda Hirokazu, per il quale aveva lavorato come assistente alla regia, propone in questa sua quarta opera un’articolata indagine sui conflitti dell’animo umano, sulle tensioni, anche distruttive, che possono annidarsi in una relazione di coppia, sulle emozioni e reazioni che un evento improvviso può scatenare. La relazione tra i due coniugi, che appare inizialmente stabile e consolidata, si sgretola a poco a poco sotto gli occhi dello spettatore picconata da un crescente sentimento di vendetta (di Satoko, nei confronti del marito traditore), da una evidente attitudine ossessiva (sempre della donna, nei confronti, più che del marito, di ciò che questi rappresenta, vale a dire la stabilità di una struttura matrimoniale), da un altrettanto chiaro cinismo. La società moderna con il suo credo che esalta denaro e affermazione, produce i “mostri” annichiliti e avvelenati di solitudine che Kanya, ma soprattutto la moglie, incarnano alla perfezione.
Il personaggio di Satoko (interpretato da una brava Matsu Takako, nota anche per il suo ruolo in Confessions, film del 2010 di Nakashima Tetsuya), dietro un’aria dimessa e gentile, nasconde tutte le caratteristiche di una convincente femme fatale: cinica e distruttiva nei confronti del marito e delle poveracce che questi adesca e circuisce. In una delle immagini più evocative del film, la donna si china per prendere qualcosa sotto il bancone del ristorante dove lavora e si trova “faccia a faccia” con un ratto enorme sbucato dal buio. Che sembra rappresentare proprio quella coscienza sordida e nascosta, tutto il brutto e il maligno della sua anima tormentata.
Regia a tratti un po’ “caricata”: durante la sequenza, ancora prima dei titoli di testa, dell’incendio, si insiste molto sui visi dalle espressioni sconvolte dei due protagonisti, anche con ralenti e musica in sottofondo, il tutto forse in modo anche un po’ eccessivo. Così come, successivamente, per sottolineare la “discesa agli inferi” di Satoko, la regista ce la propone in una altrettanto insistita immagine su una scala mobile, che metaforicamente scende.
Il film non è privo di qualche tentativo di rasserenare i toni, con spunti ironico-grotteschi: alcuni movimenti di macchina laterali, nel locale dove Kanya lavora come cuoco, riprendono in rassegna donne che ne seguono le gesta con fare sognante; così come, durante una telefonata ad una delle aspiranti “fidanzate”, Kanya è supportato dalla moglie che, lì di fianco, gli scrive velocemente le frasi più appropriate che lui poi ripete nella cornetta.
La storia di Kanya e Satoko si “chiude” sugli sguardi dei due protagonisti, verso un fuori campo che potrebbe anche rappresentare un nuovo possibile futuro.
Nel complesso, comunque, un’opera convincente. Forse solo un po’ troppo lunga. [Claudia Bertolè]
Satoko e il marito Kanya conducono una vita apparentemente felice, fino al momento in cui il loro ristorante, per un incidente, viene distrutto da un incendio. Mentre la donna cerca di far fronte alla perdita economica trovando un nuovo lavoro come cuoca in un modesto locale, il marito si lascia andare, eccede con l’alcool e una notte, ubriaco, tradisce la moglie con una donna incontrata in metropolitana. Per cercare di recuperare un minimo di solidità economica, con l’illusione di poter ricominciare una nuova vita, i due decidono di mettere a punto un sistema per truffare donne sole, che vengono ingannate da Kanya con la prospettiva di un impossibile matrimonio e indotte in questo modo a prestargli ingenti somme di denaro.
Nishikawa Miwa, il cui lungometraggio d’esordio Wild Berries del 2003 venne prodotto da Koreeda Hirokazu, per il quale aveva lavorato come assistente alla regia, propone in questa sua quarta opera un’articolata indagine sui conflitti dell’animo umano, sulle tensioni, anche distruttive, che possono annidarsi in una relazione di coppia, sulle emozioni e reazioni che un evento improvviso può scatenare. La relazione tra i due coniugi, che appare inizialmente stabile e consolidata, si sgretola a poco a poco sotto gli occhi dello spettatore picconata da un crescente sentimento di vendetta (di Satoko, nei confronti del marito traditore), da una evidente attitudine ossessiva (sempre della donna, nei confronti, più che del marito, di ciò che questi rappresenta, vale a dire la stabilità di una struttura matrimoniale), da un altrettanto chiaro cinismo. La società moderna con il suo credo che esalta denaro e affermazione, produce i “mostri” annichiliti e avvelenati di solitudine che Kanya, ma soprattutto la moglie, incarnano alla perfezione.
Il personaggio di Satoko (interpretato da una brava Matsu Takako, nota anche per il suo ruolo in Confessions, film del 2010 di Nakashima Tetsuya), dietro un’aria dimessa e gentile, nasconde tutte le caratteristiche di una convincente femme fatale: cinica e distruttiva nei confronti del marito e delle poveracce che questi adesca e circuisce. In una delle immagini più evocative del film, la donna si china per prendere qualcosa sotto il bancone del ristorante dove lavora e si trova “faccia a faccia” con un ratto enorme sbucato dal buio. Che sembra rappresentare proprio quella coscienza sordida e nascosta, tutto il brutto e il maligno della sua anima tormentata.
Regia a tratti un po’ “caricata”: durante la sequenza, ancora prima dei titoli di testa, dell’incendio, si insiste molto sui visi dalle espressioni sconvolte dei due protagonisti, anche con ralenti e musica in sottofondo, il tutto forse in modo anche un po’ eccessivo. Così come, successivamente, per sottolineare la “discesa agli inferi” di Satoko, la regista ce la propone in una altrettanto insistita immagine su una scala mobile, che metaforicamente scende.
Il film non è privo di qualche tentativo di rasserenare i toni, con spunti ironico-grotteschi: alcuni movimenti di macchina laterali, nel locale dove Kanya lavora come cuoco, riprendono in rassegna donne che ne seguono le gesta con fare sognante; così come, durante una telefonata ad una delle aspiranti “fidanzate”, Kanya è supportato dalla moglie che, lì di fianco, gli scrive velocemente le frasi più appropriate che lui poi ripete nella cornetta.
La storia di Kanya e Satoko si “chiude” sugli sguardi dei due protagonisti, verso un fuori campo che potrebbe anche rappresentare un nuovo possibile futuro.
Nel complesso, comunque, un’opera convincente. Forse solo un po’ troppo lunga. [Claudia Bertolè]