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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Kagi dorobō no mesoddo (鍵泥棒のメソッド, Key of Life)

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Kagi dorobō no mesoddo (鍵泥棒のメソッド, Key of Life). Regia e sceneggiatura: Uchida Kenji. Fotografia: Sakō Akira. Montaggio: Fushima Shinichi. Scenografia: Kanakatsu Hirokazu. Musica: Tanaka Yusuke. Interpreti: Sakai Masato, Kagawa Teruyuki, Hirosue Ryōko, Arakawa YosiYosi. Produzione: Fujimoto Makoto, Wadakura Kazutoshi, Ohnishi Yōji. Durata: 128’. Prima proiezione in Giappone: 15 settembre 2012.
Link: Sito ufficialeBonjour TristesseA Page of Madness
Punteggio ★★★

Quarto film di Uchida Kenji, dopo Weekend Blues (2012), A Strange of Mine (2005) e After School (2008), Key of Life, premiato come miglior sceneggiatura al festival di Shanghai e recentemente proiettato al Far East Film Festival, conferma il suo autore come uno dei più brillanti talenti di quella “commedia alla giapponese”, che vive in questi ultimi anni una fra le sue stagioni più felici. Il merito del film sta nell’efficace equilibrio che si instaura fra una “commedia di personaggi”, nel senso dell’efficacia della loro caratterizzazione, da una parte, e una struttura narrativa che si costruisce sul tradizionale gioco degli equivoci, dall’altra. Tre sono i principali personaggi del film: Kanae è la capo redattrice di una rivista femminile che, amante dell’ordine e della pianificazione, decide che il prossimo 14 dicembre sarà il giorno del suo matrimonio, peccato che non abbia ancora la minima idea di chi potrà essere lo sposo; Sakurai è un giovane aspirante attore votato al fallimento, come bene mostra la prima scena che il film gli dedica in cui questi tenta vanamente di por fine alla sua esistenza; Kondo, infine, è un killer, competente e solerte, che trasuda da tutti i pori una notevole confidenza di sé. L’intrigo prende l’avvio nel momento in cui Kondo, scivolato incautamente su di una saponetta in un bagno pubblico, perde coscienza e memoria, e Sakurai, entrato casualmente in possesso delle chiavi dell’armadietto dove il killer aveva riposto i suoi documenti, decide di appropriarsi dell’identità di questi e ricominciare così, anche grazie alla notevole somma di denaro che si trova a disposizione, la propria vita. L’intreccio si sviluppa poi lungo due linee parallele destinate però rapidamente a convergere: Kondo incontrerà casualmente Kanae che, a partire da quella propensione ad organizzare con metodo la propria esistenza comune ad entrambi, vedrà presto in lui l’uomo della sua vita, mentre Sakurai si ritroverà nei guai quando il mandante degli omicidi di Kondo si rivolgerà a lui per assegnargli il compito di eliminare una donna.

Nelle forme proprie della commedia, il film si sviluppa così intorno al tema dell’identità e al modo in cui il proprio essere trova comunque la maniera di emergere, indipendentemente dalla situazione in cui viene a trovarsi. La prima cosa che Kondo fa nella topaia in cui viveva Sakurai è quella di mettervi ordine, mentre quest’ultimo, nell’elegante appartamento che era del killer, getta rapidamente ogni cosa sottosopra: entrambi continuano così a essere quel che già erano nello loro “precedente vita”. Quando poi le due storie convergono, e Kondo si dovrà dar da fare per tirar fuori dai guai il povero Sakurai, la commedia si trasforma in una “metacommedia”, con i due personaggi che saranno costretti a farsi attori di una messinscena per ingannare il loro agguerrito antagonista. 
I momenti in cui Sakurai prova a rendere convincenti le conseguenze della finta coltellata infertagli da Kondo, sono davvero esilaranti, e pongono il film sulla scia di altre riuscite “metacommedie” giapponesi degli anni Duemila, come Hana (2006) di Koreeda Hirokazu e The Magic Hour (2008) di Mitani Kōki. [Dario Tomasi]
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