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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Soshite chichi ni naru (そして父になる, Like Father, Like Son)


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Soshite chichi ni naru (そして父になる, Like Father, Like Son) Regia, sceneggiatura, montaggio: Koreeda Hirokazu. Fotografia: Takimoto Mikiya. Suono: Tsurumaki Yutaka. Interpreti: Fukuyama Masaharu, Ono Machiko, Maki Yoko, Lily Franky, Fubuki Jun, Kunimura Jun, Kiki Kirin. Durata: 120’. Presentato in concorso al 66esimo Festival di Cannes
Link: Sito ufficialeFestival di Cannes

Ryota (Fukuyama Masaharu) è un architetto di successo, dedito al lavoro a alla famiglia, composta dalla moglie Midori (Ono Machiko)e dal figlio di sei anni Keita. La loro vita appare perfetta e confortevole, tutta concentrata attorno all’educazione dell’unico figlio. Un giorno, però, un medico dell’ospedale dove è nato il bambino  chiama i due genitori per comunicare loro una terribile notizia: il loro bambino è stato scambiato nella culla appena dopo la nascita con un altro bambino nato lo stesso giorno. Il loro vero figlio è stato cresciuto amorevolmente da Yudai (Lily Franky) e da sua moglie Yukari (Maki Yoko), che incontrano e iniziano a frequentare. Inizia così il loro lungo processo diplomatico di avvicinamento, fino a maturare la decisione definitiva: scambiare nuovamente i bambini e ricominciare ognuno la propria vita.
“Tutto il progetto è iniziato dall’idea di fare un film con Masaharu Fukuyama. Ho preso in considerazione diverse storie ma il desiderio di farlo recitare nel ruolo di un padre era presente fin dall’inizio” spiega Koreeda che torna ad indagare il rapporto tra bambini e adulti ma attraverso una vicenda insolita, ancora una volta estrema, anche se il suo sguardo resta enigmatico ed empatico al tempo stesso, vicino e lontano ai suoi personaggi, qui più che mai il nodo di tutto l’intreccio. 
Nel descrivere il profondo cambiamento imposto dagli eventi nella vita e nelle abitudini delle due famiglie (che non potrebbero essere più diverse), Koreeda sembra cercare la giusta distanza tra sé e questo microcosmo, che ritrae attraverso eventi insignificanti di vita quotidiana, dialoghi, gesti, silenzi, vuoti e pieni di ogni giornata. Uno schema ricorrente, ripetitivo ed efficace, perché si insinua nei pensieri e regala allo spettatore una sorpresa continua e un’attesa crescente ma discreta.
Il passare del tempo è segnato dal procedere dei mesi e dei colori, da novembre ad agosto, dalla luce inerte dell’inverno a quella calda dell’estate. La scuola, il lavoro, gli scambi domenicali di prova, le ansie di tutti, tenute nascoste sotto una precaria regolarità. Il quotidiano che cambia progressivamente segno, il ritmo che perde la sua rigida compattezza, mentre il racconto si stempera in un continuo “durare”.
Le parole sono il vero tesoro di questo film, nella capacità del regista di farne “cosa”, trasformando la freddezza dell’inizio in energia, la compostezza in felicità, la diplomazia in istinto. Come il gioco delle fotografie che si scambiano il padre Ryota e il figlio Keita, in cui scoprono avere lo stesso sguardo e la stessa espressione, campo e controcampo di una famiglia “irregolare”, che sarà disgregata e poi riunita seguendo un percorso tortuoso, sempre fatto di allontanamenti e avvicinamenti. Quando Ryota e Midori tornano da Yudai e Yukari a riprendersi il figlio, Keita fugge, subito seguito dal falso/vero padre. Un lungo cammino fino al crepuscolo in cui il loro passo si affianca lentamente e non senza fratture. Dopo tanto rigore e silenziosi piani sequenza, dopo tanto osservare, serve ora la ribellione, quel modo nuovo di guardare le cose e di capovolgere il senso stesso della vita.[Grazia Paganelli]
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