Koreeda Hirokazu’s Going My Home – Episode 10-Final (是枝裕和のゴーイング マイ ホーム第10話)
Going my Home – Episodio 10 – Finale. Regia e sceneggiatura: Koreeda Hirokazu. Musica: Makihara Noriyuki. Interpreti e personaggi: Abe Hiroshi (Tsuboi Ryota), Yamaguchi Tomoko (Tsuboi Sae), Makita Aju (Tsuboi Moe), Miyazaki Aoi (Shimojima Naho), YOU (Ito Takiko), Yasuda Ken (Ito Kenji), Arai Hirofumi (Sanada Shun), Bakarhythm (Kobayashi Satoru), Natsuyagi Isao (Tsuboi Eisuke), Abe Sadao (Tokunaga Taro), Yoshiyuki Kazuko (Tsuboi Toshiko), Nishida Toshiyuki (Torii Osamu). Produzione: Toyofuku Yoko, Kumagai Kiichi. Durata: 46’. Periodo di trasmissione della serie alla tv giapponese: 9 Ottobre 2012 – 18 Dicembre 2012.
Sotto al divano di Ryota, nei suoi sogni, muore il kuna più anziano.
Mentre è nel dormiveglia Ryota sente qualcuno che parla del padre, di quanto avesse complicato la vita degli altri, facendo sempre solo ciò che voleva: sono la madre e la sorella che chiacchierano in cucina. La giornata è dedicata alla commemorazione funebre di Eisuke. I familiari scelgono la foto per la tomba, l’auto per il trasporto della salma, discutono a proposito del prete. Si interrogano sulle ultime parole di Eisuke, pronunciate a proposito dello spot di Ryota; Sae si dedica alla preparazione dei cibi.
Ryota trascorre alcuni momenti da solo davanti alla bara del padre: è il tempo dei rimpianti per non potergli più dire ciò che vorrebbe, e lo assalgono i ricordi di quando bambino gli sfiorava il volto, o quando guardava con lui in televisione gli sciatori e i loro salti, mimandone i movimenti.
Alla cerimonia partecipano anche Naho e il padre dentista. Moe e Daichi si addentrano nel giardino e scoprono una radura con molte campanule, che per la bambina sono il segno inequivocabile della presenza dei kuna.
Alla sera, dopo la cremazione, Naho e famiglia fanno ritorno a casa. La ragazza accenna al ricordo della madre. Anche Ryota, Sae e Moe rientrano alla propria abitazione, incrociano il vicino, di fianco al suo albero di Natale.
Sae, parlando con la figlia, le chiede se pensa veramente che la radura con i fiori fosse il luogo dei kuna, e poi anche lei accenna al ricordo del proprio padre mancato.
In serata Ryota si mette a riparare la maniglia di una delle porte-finestra e rimane chiuso fuori al freddo. Sae dopo un po’se ne accorge, lo fa rientrare in casa e gli prepara una zuppa calda. Nella tazza galleggia un pezzo di verdura che ha la forma di un cappello a cono. Il finale è per loro due, ripresi al tavolo della cucina a ricordare cosa impersonavano, da piccoli, nella recita di Natale….
L’episodio finale della serie è un tripudio di ricordi e di rimandi.
Si concentra temporalmente nella giornata dedicata alla cerimonia funebre per Eisuke e nessuno dei familiari è esente dal confronto con le proprie memorie. Iniziano subito la madre e la sorella di Ryota, nel loro abituale chiacchiericcio domestico, a parlare del marito/padre. Poi si ritrovano tutti e tre davanti alla bara e, in una sequenza che ha dell’ironico, la madre precisa che le ultime parole del marito sono state «è una cosa stupida» subito dopo aver visto lo spot realizzato da Ryota: quest’ultimo nota con una vena di malinconia che è positivo comunque che il padre abbia riso dopo quell’osservazione.
Il momento più struggente è quello nel quale Ryota ricorda il padre quando lui era bambino: Koreeda utilizza qui per la prima volta, nella serie, dei flashback per isolare il ricordo del piccolo che accarezzava la guancia del padre o il dettaglio delle mani dell’uomo che lo sorreggevano mentre mimava il salto degli sciatori.
Anche Naho si sofferma a ricordare la madre, così come Sae, che ammette di aver pensato al padre mentre si trovavano nella radura delle campanule.
Non mancano poi tanti rimandi alle precedenti opere del regista.
All’inizio della giornata la madre di Ryota va a prendere in un cassetto le foto del marito per sceglierne una: è scena analoga a quella dell’anziana madre in Still Walking, che estraeva un cassetto da un mobile nel quale erano custodite le foto di famiglia. Ryota viene colpito dall’antina che, in precedenza, e così come per la piastrella del bagno di casa Yokoyama nel film citato, aveva notato fosse rovinata: in questo caso però la sua sorpresa è data dal fatto che sia stata miracolosamente riparata. Sono diversi i momenti in cui Ryota dimostra una certa malinconia nei confronti del genitore scomparso: quando due uomini intervenuti alla cerimonia gli chiedono del padre lui ammette di non aver avuto modo di parlargli per tanto tempo, nonostante non avessero litigato. È la stessa malinconia che si percepisce nel rapporto padre-figlio in Still Walking, per quella distanza che nel tempo si è formata tra i due uomini e che non è più possibile colmare.
Ancora in analogia con l’altro film, il regista ci offre lunghe inquadrature di dettaglio dei cibi che vengono preparati, con Sae che “insegna” le sue ricette alla madre, così come la madre della famiglia Yokoyama cucinava insieme alla figlia.
Un rimando a Maborosi mi sembra che possa essere colto nella sequenza dei due bambini, Moe e Daichi, che si avventurano nel giardino (un po’ come facevano i figli di Yumiko e Tamio nella campagna di radure e risaie): si percepisce quella stessa atmosfera pervasa di mistero.
È interessante notare come Koreeda, per quanto attiene alla vera e propria cerimonia di cremazione, scelga ancora, come in altre opere, una narrazione ellittica: si passa dal momento in cui i familiari stanno ponendo dei fiori sulla bara a quello in cui discutono dei resti delle ossa dopo la cremazione.
Quella nostalgica sensazione del “ritorno a casa”, che pervadeva Still Walking, è tutta nelle parole di Naho che, tornata a Nagano nell’edificio che funge da centro kuna nonché da casa del padre dentista, pronuncia tadaima! (“sono a casa!”), facendo commuovere l’anziano che le chiede con le lacrime agli occhi di ripeterla.
Non succede nulla di eclatante al termine dell’ultimo episodio della serie, non appaiono i fantastici esseri kuna e nessuna prova tangibile della loro esistenza viene scoperta. Ma la bellissima ultima sequenza mi sembra che offra, in un certo senso, una conclusione del tutto coerente con la poetica del regista: Ryota e la moglie seduti al tavolo della cucina, lui avvolto in una coperta perché era rimasto fuori al freddo, lei che gli ha preparato un zuppa calda; scherzano tra loro con affetto, la donna ricorda che alla recita di Natale, da piccola, impersonava una rana. La macchina da presa li riprende di schiena, avvolti da una luce calda. Non accade nulla o forse invece, proprio come succedeva nei film di Ozu, è lì il senso di tutto: nello scorrere del flusso della vita, nelle piccole cose di ogni giorno, nell’affetto dei propri cari. [Claudia Bertolè]