Koreeda Hirokazu: Lessons from a Calf (もう一つの教育ー伊那小学校春組の記録, Mou hitotsu no kyōiku – Ina shogakkō harugumi no kiroku)
Link: Youtube (visibile integralmente)
Nel 1986 una classe della scuola elementare di Ina si prende cura di una mucca per un anno. Due anni dopo i bambini sono di nuovo alle prese con l’allevamento di un animale e Koreeda decide di andare a riprenderli. Ad ottobre 1988 i bambini ricostruiscono la stalla, poi si dedicano a calcolare quanto costerà nutrire il nuovo bovino. A fine novembre si recano presso una fattoria in zona e scelgono una mucca che chiameranno Laura, nata a luglio. La gestione dell’animale li coinvolge totalmente: a turno la puliscono, si procurano il fieno, la alimentano, liberano la stalla dal letame, imparano a mungerla (prendendosi anche qualche calcio…). Durante una giornata di “scuola aperta”, più di mille persone arrivano a prendere atto di cosa significhi “studio integrato”: in quell’occasione i bambini espongono le proprie idee circa l’alimentazione di Laura e la gestione dell’animale. Laura rimane incinta, il vitello nasce purtroppo prematuro e muore subito. L’evento accade proprio durante le vacanze dei bambini, che quindi, quando rientrano a scuola, si trovano a dover affrontare il dramma. Lo fanno esternando la tristezza per il senso di perdita che provano con brevi poesie che Koreeda inserisce nel corso dell’opera. Intanto il tempo passa, si arriva al momento della “presentazione annuale della classe”, durante la quale gli studenti espongono ciò che hanno imparato dall’esperienza vissuta.
Infine, dopo vari tentennamenti, decidono di restituire l’animale alla fattoria dalla quale l’avevano preso in prestito: Laura torna al ranch a marzo del 1992.
Lesson from a Calf rappresenta quindi l’esordio di Koreeda, non solo nel senso che è la sua prima opera, ma anche nell’introdurre una di quelle che sarà poi anche in seguito riconosciuta come una delle sue tipicità: il ritratto del mondo dell’infanzia. Già in questo breve documentario sono indimenticabili i primi piani dei bambini, come in seguito lo saranno quelli di Nobody Knows e I wish: Koreeda ne fa un ampio uso e riprende tutto lo spontaneo entusiasmo, e anche la curiosità, per l’arrivo di Laura; l’espressione di dedizione di chi si occupa di pulire l’animale (è il caso per esempio di Michiko, sulla quale si concentra lo sguardo del regista, di cui si dirà oltre); i visi tristi nel momento della morte del vitello; l’ansia gioiosa negli sguardi, mentre attendono di bere il latte che loro stessi hanno munto. Non risultano mai banali, ma testimoniano una ferma volontà di indagare con sensibilità il mondo delle loro emozioni, e trasmetterle intatte allo spettatore. Lo sguardo ravvicinato assicura anche l’identificazione dello spettatore e, in un certo senso, il suo “ritorno” alle sensazioni dell’infanzia.
Dalle opere di Koreeda, e già in questo caso se ne avverte l’intenzione, emerge anche un raffronto fra l’universo degli adulti e quello dei piccoli. I bambini appaiono seri, decisi, fortemente coinvolti, come quando diversi di loro non riescono a trattenere le lacrime all’idea di dover restituire Laura al suo proprietario. Fin dall’inizio dell’esperienza non si risparmiano: si buttano nelle nuove attività con coraggio. È interessante che invece il regista documenti un certo disagio degli adulti coinvolti, o quanto meno una sorta di imbarazzo: ad esempio, durante la giornata di presentazione dell’esperienza, viene chiesto ad alcune madri presenti che cosa pensino riguardo alla morte del vitello di Laura e nessuna di loro risponde, la macchina da presa le riprende immobili, in silenzio.
Anche il tema della morte e del confronto con la perdita di un affetto occupa già un segmento importante di quest’opera prima: il regista racconta il momento in cui i bambini prendono coscienza della morte del vitello e allo stesso tempo analizzano le proprie emozioni al riguardo. Lo fanno con piccole poesie, che vengono lette mentre scorrono foto di loro attorno alla tomba, o insieme a Laura. Sono versi ingenui, ma intensi, che danno atto della sensazione di impotenza di fronte ad un evento come quello: «Era freddo. Per cosa avevamo lavorato tanto? La luce della vita si era spenta» o anche coraggiosamente paradossali: «Odio la morte. Così tanto che vorrei ucciderla». Nella parte del film dedicata all’evento della morte del vitello, ma non solo in questa comunque, molte sono le inquadrature fisse. Queste, da un lato, svelano la presenza del regista, e permettono, dando modo di essere “contemplate”, di prendere coscienza del significato di quanto ripreso; dall’altro rallentano il tempo della narrazione, trasformando gli eventi in ricordi.
All’interno del documentario Koreeda ritaglia uno spazio privilegiato per una delle studentesse, facendola assurgere a ruolo di personaggio. Si tratta di “una giornata con Machiko”. Attraverso una scansione temporale precisa, a partire dalle sette e trenta del mattino, il regista segue la ragazzina che pulisce l’animale, mette a posto la stalla liberandola dal letame, incita i compagni a lavorare, mentre stanno raccogliendo erba per la mucca.
Non mancano scene ironiche, come quando Laura improvvisamente riesce a prendere uno dei bambini agganciandolo per la maglia e il piccolo è costretto a divincolarsi per sfuggirle. Tanti, soprattutto, i momenti in cui il regista riesce a cogliere la gioia spontanea dei giovani studenti-allevatori.
Nel film appaiono diverse inquadrature di dettagli: secchi pieni di latte, mani che mungono, piedi, o, anche, riprese in spazi vuoti. A quest’ultimo riguardo mi sembra interessante notare che proprio all’inizio venga proposta un’inquadratura di un corridoio della scuola, con tutte le scarpe sugli scaffali: Koreeda sceglie di presentare così i propri personaggi, le cui voci infantili si sentono arrivare da fuori campo. Anche il finale è per uno spazio vuoto: è quello dell’area che era occupata dalla stalla di Laura, che è stata smantellata. Sembra quasi un primo “manifesto” del cinema di Koreeda, di quella “rappresentazione dell’assenza” che lo contraddistinguerà da quel momento in poi.[Claudia Bertolè]