Kaze tachinu (風立ちぬ, The Wind Rises)
Kaze tachinu (風立ちぬ, The Wind Rises). Regia: Miyazaki Hayao. Soggetto: Miyazaki Hayao dall’omonimo manga di Miyazaki Hayao. Fotografia: Okui Atsushi. Produttore: Suzuki Toshio. Durata: 126′. Uscita nelle sale giapponesi: 20 luglio 2013.
Il film è presentato in prima internazionale alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (in corso, fino al 7 settembre) e subito dopo in prima nordamericana al Toronto International Film Festival (5-15 settembre).
Kaze tachinu (Traduzione letterale: S’alza il vento) deriva da un manga dello stesso Miyazaki che mescola la vita di un personaggio realmente esistito, l’ingegnere aeronautico Horikoshi Jiro, con la storia d’amore descritta in un romanzo breve del 1938 dallo scrittore giapponese Hori Tatsuo. Jiro, fin da bambino è appassionato al volo e soprattutto agli aerei. Nei suoi sogni, incontra il suo eroe, l’ingegnere aeronautico italiano Gianni Caproni, che gli trasmette la passione per la bellezza estetica applicata al design aereo e gli insegna a credere nelle proprie aspirazioni. Jiro cresce e nel 1923, mentre si sta recando a Tokyo, incontra per un breve istante colei che diventerà l’amore della sua vita, la giovane Naoko. Le circostanze però sono tragiche: mentre i due sono sul treno, un boato scuote il cielo e la terra. È il grande terremoto del Kanto che causerà circa 150mila morti, epidemie e violenze che scuoteranno e cambieranno il Giappone in modo molto profondo. Le scene del terremoto, bellissime nella loro tragicità e accompagnate dai tonfi sonori realizzati a voce (come del resto tutti i sonori degli aerei), sono rappresentate come un sussulto e un gemito della terra. In una capitale piegata dalla miseria post-sisma, Jiro si laurea e si trasferisce a Nagoya, dove trova lavoro come ingegnere aeronautico alla Mitsubishi e dove ha la possibilità di perseguire i suoi sogni di designer, prestando la sua creatività e il suo talento alla costruzione di un nuovo tipo di aereo. Aereo che sarà poi impiegato come strumento di morte nelle guerre combattute dal Giappone. Le difficoltà nella realizzazione di questa macchina volante portano Jiro fino in Germania e a riunirsi e fidanzarsi con Naoko, che però è malata di tubercolosi.
Il lavoro fatto dallo studio Ghibli è come sempre impressionante per dettagli, leggerezza e colorazione, soprattutto nelle scene aeree, una delle fissazioni di Miyazaki, da sempre affascinato dal volo e dalle macchine volanti fin dai tempi di Conan il ragazzo del futuro. La musica, anche questa volta curata da Joe Hisaishi, dona un tono malinconico e quasi nostalgico alla pellicola, come si era già visto in La collina dei papaveri, scritto da Miyazaki, ma diretto dal figlio Goro nel 2011. La scelta che a dare la voce al protagonista sia Hideaki Anno, creatore della rivoluzionaria serie televisiva Evangelion, pare non solo giustificata, ma è uno degli elementi che contribuiscono a formare il carattere di Jiro, apparentemente chiuso, per niente passionale, diventando così una delle scelte più azzeccate del film. È la sua voce che con tono distaccato accompagna le scene più spettacolari del film, quelle che contrappongono il tempo interno del protagonista, con i suoi sogni a occhi aperti che letteralmente investono di forme e colori il mondo, di fatto ricreandolo, e il tempo storico con i cui dilemmi egli sembra non venire mai a contatto.
I temi e il modo sottile e indiretto con cui sono sviluppati sono talmente tanti e vasti che una sola visione non è sufficiente. In rilievo c’è la riflessione sul significato, la posizione e le responsabilità dell’artista, in questo caso un ingegnere, verso la sua epoca, ma anche sul significato della bellezza, dell’atto creativo per la vita di un singolo e per la società. Kaze tachinu è però anche una storia d’amore raccontata in modo delicato che si intreccia con la malattia e la morte, e con il dovere verso la propria passione creativa. La brutalità del Giappone imperialista e dell’era in cui la storia è ambientata, il periodo prima della Seconda Guerra Mondiale, non sono mai mostrate e solo sporadicamente menzionate ed è una scelta questa, assieme al continuo mescolio della realtà con i sogni di Jiro, che contribuisce a creare quella distanza dalla realtà storica che evita una pesantezza che avrebbe fatto diventare il film qualcosa di diverso. Il non mostrare la tragedia, le razzie susseguenti al terremoto, così come le scene di guerra degli anni a venire, ha un significato preciso nell’economia e nel significato profondo che Miyazaki e collaboratori hanno cercato di far passare attraverso questo lungometraggio. Il distacco, quasi la chiusura in una torre d’avorio da cui guardare la realtà esterna senza supponenza, ma con ottimismo e candore proseguendo per la propria strada, è forse la problematica più importante che il film solleva.
Forse, per la prima volta nella carriera di Miyazaki, questo lavoro non è stato fatto con in mente il pubblico più giovane. Se è vero che Nausicaa o La principessa Mononoke non sono due lavori per niente facili, è pur sempre vero che stilisticamente affascinano e tengono i ragazzi sempre attenti. Qui si tratta di qualcosa di diverso. Le parole di Miyazaki ci aiutano: «Mi dispiace, ma questo lavoro potrebbe far sentire i bambini tagliati fuori; mi è stato detto, però, che vedere qualcosa di difficile comprensione, qualche volta può avere un significato importante». Se Ponyo sulla scogliera era una festa e andava a toccare lo stupore infantile dentro ciascun spettatore, Kaze tachinu è un ballo fin de siècle, dove a essere invitati sono scrittori e artisti di inizio del XX secolo, come il già citato Tatsuo Hori, ma anche il Thomas Mann della Montagna incantata, opera citata nel film. A essere abbracciati in questa danza apparentemente in modo distante, ora sfiorandosi ora no, sono il tempo interno individuale, leggero e aereo e quello macchinoso e pesante della Storia con la S maiuscola. Il film, seppur fra i più cupi di Miyazaki, è ciononostante un inno alla speranza, un’ode alla vita anche quando il momento sembra tragico, un invito a volare fin quando il vento si alza. Il titolo stesso viene infatti da un passaggio de Il cimitero marino di Paul Valéry: «S’alza il vento… Bisogna osar di vivere!» [Matteo Boscarol]