Kaabee (母べえ, Our Mother)
Come nel successivo Otōto (About Her Brother 2010), il carattere biografico e la centralità della dimensione familiare fanno assumere al racconto quel tono nostalgico ed intimista che Yamada predilige per celebrare i suoi umili eroi (si veda anche il finale di The Twilight Samurai, Tasogare Seibei 2002). Il dramma non è mai solamente un fatto individuale, o ristretto ad una cerchia limitata di soggetti, anzi, in questa pellicola è completamente immerso nella storia contemporanea del Giappone e, in particolare, nelle vicende che, a partire dal 1940, hanno coinvolto l’impero nella seconda guerra mondiale.
Prelevato di notte davanti ai familiari da parte della polizia, Tobei, studioso e professore universitario, viene condotto in cella subendo il sequestro di una grande quantità di libri. L’accusa è di aver violato la legge sulla sicurezza nazionale, essendo sospettato di antinazionalismo e di simpatie comuniste. I suoi stessi scritti vengono censurati, come si coglie sin dalle prime battute che introducono il severo clima repressivo, ribadito in seguito dal procuratore che affronta il caso del protagonista riferendosi alle sue dubbie posizioni politiche. Ma si respira anche attraverso la vigente morale che propaganda perbenismo e spirito di sacrificio a favore della nazione: si pensi alle donne del comitato contro la lussuria che vogliono convincere vanamente lo zio, davanti al cinema, a donare il suo anello d’oro per la difesa del Paese.
Il punto di vista è quello di Teru-bei, la figlia minore, la quale muovendo dal ricordo del genitore si concentra affettuosamente sulla figura della madre, sulla sua dedizione alla famiglia e ai valori tradizionali: è la vera e propria protagonista celebrata dal titolo della pellicola che riprende la biografia dell’autrice, Nogami Teruyo.
Anche Yamazaki, ex allievo del professore, si offre in aiuto alla famiglia attraverso la sua figura talvolta goffa, la quale dona quel tono ironico che sottende spesso la poetica del regista e che smorza, a tratti, l’intensità drammatica, donando respiro al racconto. Una storia che non lascia speranza ai protagonisti destinati a soccombere in cella (Tobei), in guerra (Yamazaki), o su un letto d’ospedale (Kabei), ma che guarda allo stesso tempo con introspezione e sobrietà all’evento fatale, sia da un punto di vista stilistico, che tematico. Il piano sequenza e la profondità di campo nell’inquadratura dall’alto che anticipa l’arrivo del telegramma pronto a comunicare la morte di Tobei; il racconto drammatico del commilitone di Yamazaki le cui lacrime si alternano ai ricordi dei soldati che cercano di salvarsi nella nave colpita, che inghiotte acqua; l’ultimo e raggelante sospiro della protagonista, in chiusura. Ma anche la morte della zia Hisako, messa in ellissi e accennata dalla voce narrante, tende ad assumere un peso drammatico che supera il caso individuale: trasferitasi ad Hiroshima perde la vita a causa delle radiazioni della bomba atomica.
L’empatia che Yamada prova per i suoi protagonisti transita, come sempre, nella semplicità e nella quotidianità, nelle mansioni casalinghe e nei dialoghi misurati, nei loro moti interiori che traspaiono attraverso i primi piani e la dimessa scenografia, nei ritratti domestici dove sono figurativamente incorniciati da porte e finestre, quando non inquadrati attraverso le sbarre; oppure gli stati d’animo sono interpretati dalla fotografia e dai giochi di luce, quando la figura umana è tormentata, avvolta nell’oscurità: in casa, mentre, dalla radio, Kabei ascolta l’annuncio dell’entrata in guerra del Giappone, come nella cella, quando lo spiraglio di luce esterna filtra per illuminare il volto di Tobei, stremato, appoggiato al muro. (Davide Morello)