Tamako in moratorium (もらとりあむタマ子)
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Presentato in anteprima mondiale nella sezione «A window on Asian Cinema» dell’ultimo Festival di Busan, Moratorium Tamako rappresenta, insieme al suo penultimo lavoro, Kueki ressha, il ritorno di Yamashita Nobuhiro ai felici inizi della sua carriera (sebbene di un ritorno in chiave femminile si tratti). Ambientato nella cittadina di Kōfu, il film ha per indiscussa protagonista una giovane ragazza, Tamako, che, appena laureatasi, è tornata a vivere nella casa del padre, separato dalla moglie. Tamako sembra per molti versi ancora ferma all’età dell’adolescenza e passa il tempo stesa sul suo futon, a leggere manga e a giocare alla playstation, come a voler sospendere a data da destinarsi il momento dell’effettivo ingresso nell’età adulta. E così tocca al padre, che con pazienza giapponese attende che la figlia si decida a cercarsi un lavoro, preparare i pasti quotidiani (pesce alla griglia, soba in brodo, curry rice) e stendere sul balcone la biancheria intima di Tamako. L’unica volta che sembra quasi perdere le staffe è quando, a una frase della figlia che sta guardando il telegiornale e dice che il Giappone è un paese senza speranza, replica con un seccato: «Non è il Giappone, sei tu ad essere senza speranza». La storia procede in modo minimalista, attraverso una serie di piccoli fatti quotidiani, che coinvolgono anche un ragazzo, di qualche anno più giovane di Tamako, che diventa amico della protagonista. A un certo punto, durante una cena, padre e figlia si mettono all’improvviso a fare «forbice, carta e sasso». Toccherà al padre, sconfitto, uscire in cortile per andare a riempire la tanica di cherosene. Finalmente Tamako sembra mettersi alla ricerca di un lavoro, chiede al genitore un vestito nuovo per presentarsi ad un colloquio e questi, ben contento di poterla aiutare, le regala anche un costoso orologio da polso. Scoprirà però presto, e lo spettatore con lui, che il colloquio era in realtà un’audizione per entrare nel mondo dello spettacolo. Nella sua seconda parte, il film – per così dire – si anima, quando nel corso di una cena con dei familiari, Tamako scopre che questi stanno cercando di convincere il padre a sposare una donna. Come un’eroina di un film di Ozu, Tamako si scopre improvvisamente gelosa, e, con l’aiuto del suo amico, farà di tutto (o quasi) per impedire che questa unione avvenga. Ma ormai i tempi della moratoria sono finiti, e sarà lo stesso padre a far capire alla figlia che è giunta l’ora che la sua vita abbia finalmente inizio.
Yamashita riempie questa storia fatta di piccoli fatti quotidiani con i suoi tipici e stralunati tocchi da commedia – si ride molto di più di quanto non possa trasparire dal racconto della trama –, con i suoi personaggi attoniti e incapaci di adattarsi alle regole del vivere sociale, col suo senso della vita come di un’inevitabile successione di piccoli scacchi – la scena in cui la madre finalmente telefona ma nessuno è in grado di sentire gli squilli dell’apparecchio è emblematica al riguardo – e con quell’amarezza di fondo che è tutt’uno col suo cinema. [Dario Tomasi]