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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Kūki ningyō (空気人形, Air Doll )

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Kūki ningyō  (空気人形, Air Doll ). Regia, sceneggiatura e montaggio: Koreeda Hirokazu. Soggetto: dal manga di Goda Yoshiie. Fotografia: Pin Bing Lee. Suono: Tsurumaki Yutaka. Musica: Maeda Katsuhiko. Interpreti: Bae Doo-na, Arata, Itao Itsuji, Iwamatsu Ryo, Emoto Tasuku, Odagiri Joe, Yo Kimiko, Hoshino Mari, Fuji Sumiko. Produttore: Uratani Toshiro. Durata: 116 minuti. Uscita nelle sale giapponesi: 26 settembre 2009.

Nozomi è la bambola gonfiabile di Hideo, un single non giovanissimo che, quando alla sera rientra a casa dal lavoro, la veste, chiacchiera con lei durante la cena, la usa per il sesso. Un giorno però, ad insaputa di Hideo, Nozomi si risveglia alla vita. Inizia così, da quel momento, ad uscire di casa nelle ore in cui il suo padrone è assente e vaga per il quartiere, nel suo completo da cameriera sexy, incontrando diverse persone: un anziano che passa il tempo su una panchina, giovani madri a spasso con i figli, i bambini ai giardinetti. Riesce anche a farsi assumere come commessa part time in un videostore, ed è qui che incontra Junichi. Il ragazzo, che è l’unico altro dipendente del negozio, risponde alle domande ingenue di Nozomi, fanno insieme una gita ad Odaiba, la invita a cena, al cinema. Le salva la vita con del provvidenziale nastro adesivo il giorno in cui lei, inavvertitamente, si taglia e l’aria defluisce dal suo corpo, rischiando di lasciarla senza vita. Lo svelamento della vera essenza di Nozomi non sembra inquietare il ragazzo, che, anzi, continua la sua relazione con lei. Nozomi intanto ha un confronto con il proprio padrone, che nel frattempo ha acquistato una nuova bambola, e si reca anche a fare visita a chi l’ha creata, all’uomo che costruisce le bambole gonfiabili, in un magazzino pieno di modelli.
Durante uno dei loro incontri, Junichi chiede a Nozomi di poter far uscire l’aria dalla sua valvola, per poi rigonfiarla, soffiandoci dentro. Lei crede di poter fare lo stesso con lui: prende forbici e nastro adesivo e, così facendo, lo uccide. Quando si rende conto della tragedia, si libera del cadavere, poi si adagia in mezzo ai rifiuti. Solleva il pezzetto di nastro che ostruiva la “ferita” sul polso, quella che Junichi aveva “riparato”, e lascia che l’aria – insieme alla vita – esca da lei.
Tratto da un manga di Gōda Yoshiie, pubblicato nel 2000, Air Doll è, innanzitutto, una poetica fiaba che parla di solitudine. «Io sono vuota» svela Nozomi all’anziano che incontra sulla panchina del piccolo spazio verde. Non è l’unica. Tutti i personaggi con i quali viene in contatto sono portatori di quella malattia del nostro tempo che è l’alienazione più profonda: sono assolutamente soli. Koreeda ce li descrive come impauriti, impacciati, a disagio: una ragazza preda di disequilibri alimentari vive in un appartamento pieno di rifiuti e di cibo ormai immangiabile, una donna si siede da sola su una panchina a consumare il suo pranzo, un anziano passa le sue giornate in un piccolo giardino pubblico, con l’unica vista di un muro e, oltre, le sagome incombenti dei grattacieli. Le figure aliene che si muovono attorno a Nozomi – unica consapevole di «ritrovarsi con un cuore» – non comunicano. Sono “isole” che non interagiscono e, soprattutto, che non sembrano provare alcun senso di appartenenza ad una comunità. In questo gelido panorama umano, è emblematico – e ironico – che il regista affidi proprio ad un essere inanimato, una bambola di plastica, il compito di stimolare il recupero di quel calore della condivisione, del sentimento, che gli uomini paiono aver dimenticato.
L’alterità di Nozomi potrebbe anche rimandare, secondo una diversa interpretazione, ad una persona che sia immigrata in Giappone da altri Paesi – le sue difficoltà di comunicazione sembrerebbero confermarlo – con tutte le problematiche di integrazione connesse a tale situazione.
«Io sono una bambola gonfiabile»: non ha dubbi Nozomi su quali siano le sue prerogative e non si sottrae al proprio destino di giocattolo di plastica neppure quando, già consapevole della nuova condizione “umana”, già innamorata del timido Junichi, il proprietario del negozio dove lavora vuole fare sesso con lei. Air Doll è il film di Koreeda più apertamente erotico, nel quale alla sessualità si rimanda in maniera anche esplicita, come quando Nozomi – come aveva fatto prima già Hideo – dopo aver avuto un rapporto con il proprietario del negozio, si “sfila” la parte utilizzata per lavarla. Dal sesso “frammentato”, si arriva però poi alla coinvolgente, poetica alternanza di morte e vita delle scene d’amore tra l’ex bambola e Junichi. L’aria soffiata dal ragazzo in Nozomi e poi lasciata fuoriuscire, visivamente riassume eros e afflato dei sentimenti. La convincente recitazione dell’attrice coreana, con la sua espressione sempre ingenuamente sorpresa, evita che il film si trasformi in un’opera troppo orientata verso le tematiche erotiche.
Quando Junichi accenna alla morte, Nozomi ribatte che «è difficile da capire». Ed infatti, nella sequenza conclusiva durante la quale con le forbici ferisce e poi uccide il ragazzo, convinta di poterlo rigonfiare come una bambola, la sua incredulità di fronte all’evento drammatico è assoluta. Il regista in questo caso, e a differenza degli altri suoi film, mostra il momento dell’uccisione, ma lo tinge allo stesso tempo di tale surrealtà e magia, da “spostarlo” in un certo senso dal mondo delle percezioni oggettive, a quello dell’imponderabile e della fantasia. In questo senso Air Doll, che apparentemente sembrerebbe prendere le distanze, per temi e stile, dalle precedenti opere del regista, sostanzialmente rivela la sua appartenenza alla poetica di Koreeda. Torna un tema classico del cineasta, connesso alla morte, e cioè il confronto con la perdita delle persone care: il finale del film è focalizzato sull’elaborazione da parte di Nozomi della morte dell’amato. Non manca neppure il riferimento al cinema del passato, ed in particolare all’opera di Ōshima Nagisa.
Air Doll è un film contraddistinto da un umorismo nero. Le gag sono incentrate sulla surrealtà di Nozomi: in un caso, convinta che la donna con la riga nera sulle calze sia una bambola come lei e che quelle siano le giunture di plastica, la rincorre per regalarle un prodotto di cosmesi che potrebbe servire per mascherare i segni; in un altro, accortasi che la sua figura non produce ombra, a differenza di quella di Junichi – segno tangibile del suo essere “altro” rispetto agli umani – saltella qui e là per nascondere la mancanza ed evitare che il ragazzo la noti. Quando Junichi, in uno dei momenti che trascorrono insieme al negozio, le confida: «Io sono come te», lei male interpreta e la sua fiducia nel significato letterale delle parole finirà ironicamente e drammaticamente per determinare la morte del ragazzo.
Per quanto riguarda lo stile è da notare un cambiamento rilevante: la fotografia è curata da Mark Lee Pin-bing (lo stesso di In The Mood For Love, di Wong Kar-Wai), che contribuisce a conferire all’opera un’eleganza visiva che la distingue rispetto ai precedenti lavori del regista.
Degna di nota è la sequenza dell’incontro della bambola gonfiabile con il suo creatore Sonoda. È un momento di malinconica tenerezza, durante il quale questa sorta di Geppetto, interpretato da Odagiri Joe, mostra alla sua creazione le altre “figlie”, uguali a lei e si preoccupa anche, come un padre che abbia visto la propria prole cresciuta separarsi da lui, che nel mondo lei abbia «visto qualcosa di bello».
Due sequenze del film, poi, risultano collegate da un interessante rimando. La prima è quella in cui Nozomi si risveglia improvvisamente alla vita: all’inizio, sulle immagini delle case del quartiere, si sente il rumore di un profondo respiro, poi la macchina da presa si sposta su Nozomi-bambola, che inizia a muoversi. Si alza e va alla finestra, aperta: qui, divenuta donna in carne ed ossa, osserva a lungo la propria mano che raccoglie le gocce di rugiada e poi pronuncia la parola «Meraviglioso!». La seconda è anche l’ultima sequenza del film: la ragazza bulimica, dall’inizio del film confinata nella propria stanza in mezzo ad ammassi di rifiuti, si sveglia e apre la finestra. Proprio sotto casa sua, in strada, giace in mezzo ai rifiuti il corpo senza vita di Nozomi, suicidatasi dopo la morte di Junichi, e l’aria fuoriuscita dalla bambola si unisce alla brezza che trasporta i pollini. La ragazza, ora sorridente, respira profondamente, poi osserva ancora il corpo di Nozomi e si produce nella medesima esclamazione della bambola all’inizio della storia: «Meraviglioso!». La ripetizione sembrerebbe, nonostante l’epilogo drammatico del film, far propendere per un’interpretazione ottimistica dell’intera opera, proprio perché ciò che suggella il film è il rimando al momento che idealmente evoca potenzialità infinite della vita. [Claudia Bertolè]

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