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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Riarizumu no yado (リアリズムの宿, Ramblers)

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Riarizumu no yado (リアリズムの宿, Ramblers). Regia: Yamashita Nobuhiro. Sceneggiatura: Mukai Kōsuke, Yamashita Nobuhiro (da un manga di Tsuge Yoshiharu). Fotografia (colore): Kondō Ryūto. Luci: Mukai Kōsuke. Suono: Furuya Masashi. Scenografie: Uyama Takashi; Montaggio: Yukibumi Josha, Yamashita Nobuhiro. Musiche: Kururi. Interpreti e personaggi: Yamamoto Hiroshi (Kinoshita), Nagatsuka Keishi (Tsuboi), Ono Machiko (Atsuko), Takakura Masaaki, Yamamoto Takeshi (Funaki). Produzione: Sadai Yūji, Tomioka Kunihiko, Okamoto Tōrō per Bitters End; Distribuzione: Bitters End, VAP. Durata: 83’ . Uscita nelle sale giapponesi: 17 aprile 2004.
Link: Trailer (Youtube) – Mark Schilling (Japan Times) – Tom Mes (Midnight Eye)
Tsuboi e Kinoshita sono due aspiranti filmaker che vengono convocati in una località di montagna dal collega Funaki per prendere parte a un imprecisato progetto. Il primo è relativamente estroverso e, almeno all’apparenza, brillante. Il secondo, più chiuso e impacciato. I due si conoscono solo di fama e mostrano di non nutrire una particolare stima reciproca, a livello professionale. Tuttavia, superando con una certa difficoltà l’imbarazzo iniziale, essi prendono confidenza poco alla volta mentre attendono il collega alla stazione. Dal momento che questi non accenna a presentarsi, i due si ritrovano costretti a cercare un riparo per la notte, dando così il via a un calvario di incontri surreali e imbarazzanti. A ospitarli saranno infatti prima il truffaldino gestore straniero di un ryōkan, poi uno scagnozzo della yakuza e, infine, una famiglia povera e disastrata che affitta una stanza. Nel frattempo, i due si imbattono anche in una misteriosa ragazza che corre nuda sulla spiaggia, la quale, dopo aver legato con i due cineasti, li abbandona di punto in bianco senza apparente ragione. Esauriti i soldi e la pazienza, Tsuboi e Kinoshita si separano amichevolmente e se ne tornano a casa prima di essere raggiunti dal collega.

Liberamente ispirato a un’opera (i cui protagonisti erano però due mangaka) di uno dei maestri del manga “proletario”, Tsuge Yoshiharu, autore che ha ispirato altre trasposizioni cinematografiche come Munō no hito (1998) di Takenaka Naoto e Neji-ishiki (2003) di Ishii Teruo, Ramblers è il terzo film di Yamashita e, pur non partendo da un soggetto originale, si pone come una summa della sua filmografia d’esordio, la cui poetica assumerà, nelle opere successive, forme più variegate. Il film chiude infatti una trilogia sull’alienazione avente per protagonisti tre diverse coppie di inetti e caratterizzata dalla presenza, tra gli interpreti principali, dell’attore Yamamoto Hiroshi, amico del regista e ideale incarnazione di un tragicomico disagio esistenziale. A impersonare l’enigmatico personaggio di Funaki, che appare in un’unica scena sul finire del film, quando i due protagonisti avranno già lasciato la scena, Yamashita chiama invece Yamamoto Takeshi, altro suo attore-feticcio che, oltre a interpretare alcuni bizzarri cammei in buona parte dei suoi film, si fa carico della vena più sperimentale del suo cinema in opere minori girate in video.
Come si è detto, in Ramblers Yamashita sviluppa al meglio situazioni (le attese, i momenti imbarazzanti, l’inadeguatezza, lo spaesamento) che avevano caratterizzato le due opere precedenti, elevandole a vero e proprio fulcro di un’opera tutta basata, appunto, su di una (vana) attesa. Come in Hazy Life il film si apre con l’immagine di due uomini fermi ad aspettare qualcosa (là era l’apertura del pachinko, qua il collega), e sarà proprio tale situazione a spingere i due protagonisti a stringere un legame.
Come in No One’s Ark, invece, la scena si sposta dalla grande città, da cui i due provengono, a un provincia che diventa scenario di spaesamento non solo geografico ma esistenziale, nonché di incontri surreali segnati, nonostante l’umorismo di fondo, da una vena di squallore e tristezza. La provincia è vista infatti come un terreno fertile di situazioni grottesche, prevaricazioni, indigenza e alienazione: una realtà che è motivo di imbarazzo e soggezione per i due giovani i quali, dal canto loro, si dimostrano del tutto inadeguati ad affrontarla. Le scene più divertenti nascono dall’incontro con il gestore della prima locanda presso cui essi alloggiano, uno straniero che non solo li truffa e li deruba, ma spiazza i due protagonisti sciorinando una perfetta parlata giapponese con tanto di forte inflessione dialettale. Non meno goffi saranno Tsuboi e Kinoshita quando si troveranno di fronte alla misteriosa ragazza che corre nuda sulla spiaggia, situazione ripresa in un campo lungo che ricorda il cinema di Kitano. I due aspiranti cineasti sono seduti tranquillamente in riva al mare, quando dal bordo dell’inquadratura compare la ragazza che corre verso di loro. Non appena questa si avvicina, l’immediata reazione dei due è di alzarsi e scappare via, fornendo un’immagine emblematica della loro inadeguatezza rispetto alle circostanze che si trovano giocoforza ad affrontare. Più tardi, quando i due protagonisti avranno goffamente soccorso la giovane donna (in realtà ancora una liceale, come i due scopriranno solo più tardi), Kinoshita non riuscirà nemmeno a rivolgerle direttamente la parola, ponendo al collega le domande indirizzate alla ragazza nonostante lei sia lì presente.
Infine, come in entrambi i lavori precedenti, Ramblers narra di sogni improbabili destinati a naufragare sul nascere. Gli ideali professionali e artistici dei protagonisti appaiono infatti come qualcosa di assai astratto e impalpabile: i due aspiranti cineasti, spesso in disaccordo tra loro, si incontrano per progettare un film di cui non sanno nulla poiché il promotore dell’idea non si presenta sul luogo dell’appuntamento se non alla fine, quando i due se ne saranno già andati. Tutto il film è dunque un girare a vuoto, verso un ideale che di fatto non esiste, cosa che rende quest’opera forse una delle più stralunate di Yamashita, sebbene vi manchino quegli sprazzi di bizzarra estetica pop-manga che colorivano Hazy Life e No One’s Ark.
Da un punto di vista formale, Ramblers coniuga le atmosfere rarefatte tipiche del cinema underground giapponese (ma non solo, dal momento che, oltre al già citato Kitano, evidenti punti di riferimento del regista sembrano essere cineasti come Jarmusch e Kaurismaki) con reminiscenze beckettiane (abbastanza scontato il parallelo Funaki-Godot) che si innestano alla perfezione sulla vena di umorismo surreale di cui il regista aveva già dato prova nei due film sopra citati. Oltre all’uso dei piani lunghi e fissi, del long take e di una messinscena scarna, Yamashita condivide con i registi sopra citati anche il gusto per un’ironia spesso amara e sardonica, ma non per questo meno umanamente partecipe della condizione esistenziale, sovente misera e precaria, dei suoi personaggi, principali e di contorno. In alcuni punti, seppur meno che in altre opere, tale ironia si fa crudele e il tono addirittura triviale, senza che per questo venga meno il distacco formale con cui il cineasta si limita a descrivere le azioni dei suoi personaggi, talvolta ridicole, talvolta meschine, astenendosi dal giudicarle. [Giacomo Calorio]

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