Usagi drop (うさぎドロップ – Bunny Drop)
Links: Trailer (Youtube) – Mark Schilling (Japan Times)
Punteggio ★★
Il giovane Daikichi, single sulla soglia dei trent’anni, ha un buon posto in un’azienda e conduce una vita tranquilla ed ordinaria. Venuto a sapere della morte di suo nonno e recatosi al suo funerale, conosce la piccola Rin, di sei anni, figlia illegittima del defunto. Si possono immaginare le attitudini del nonno ma praticamente nulla si sa riguardo la madre della piccola.
La presenza della bambina, che in realtà appare totalmente chiusa in se stessa, suscita grande imbarazzo in tutti gli astanti al funerale tanto che, a cerimonia conclusa, l’unica soluzione pare essere quella dell’orfanotrofio. Daikichi, mosso da pena per la piccola (al contrario di ogni altro parente), decide di farsene carico nonostante la completa inesperienza nel ruolo di genitore. A ben vedere, si dice però, quanti genitori giovanissimi esistono al mondo? Sicuramente molti, e anche più scriteriati e scostanti di lui. Con questa convinzione, comunica la sua decisione ai vari parenti, i quali non possono far altro che ascoltare interdetti le sue parole, senza in realtà nascondere un malcelato sollievo (coloro che si sentivano presi in mezzo nella roulette per l’affidamento di Rin) o un velato disappunto (causato dal fatto che la loro rigida morale mal digerisce, evidentemente, il pensiero di un ragazzo padre single prendere il posto di un più sicuro orfanotrofio per minori).
Il film prende così a descrivere il rapporto tra Daikichi e la piccola Rin. Inizialmente lo fa in modo piacevole e coinvolgente, grazie soprattutto all’ottima interpretazione della giovanissima Ashida Mana: diverse le scene toccanti che sottolineano l’animo gentile di entrambi i personaggi.
Daikichi riesce inoltre a mettersi in contatto con la madre della piccola, scontrandosi con la sua totale mancanza di maturità e di voglia di calarsi nel ruolo di tutrice.
Anche visivamente, questa prima parte, trova compiutezza in una fotografia dai colori caldi e sfocati, come a sottolineare i momenti più commoventi e conferendo a certe inquadrature la luce di una vecchia e cara foto di famiglia.
Col trascorrere dei minuti, però, questa buona orchestrazione cigola sotto il peso di situazioni struggenti ripetute un po’ troppo, di una narrazione che rallenta ed affossa il ritmo della storia e di un protagonista maschile che non riesce a coinvolgere lo spettatore come all’inizio. Entra in gioco il cliché del pietismo. Caratteristica non ignota a certo cinema giapponese fatto per essere consumato da un distratto pubblico televisivo o da annoiati adolescenti che, durante un pomeriggio a Shibuya possono ritrovarsi in una sala cinematografica.
Usagi Drop è decisamente meno lucido e ispirato rispetto a episodi precedenti della filmografia di Sabu, quali Postman Blues o Monday, ma vuole pur sempre avere un taglio autoriale. Ne risulta un film che si colloca a metà strada su vari fronti. Anche i personaggi sono fortemente distanti tra loro, sia a livello narativo e recitativo che emotivo. Si ha come l’impressione che con Usagi drop, un regista dallo stile frenetico, genuino e discretamente originale quale Sabu, abbia intrapreso la strada del melodramma per il grande pubblico, tentennando tuttavia sino all’ultimo (e si potrebbe dire anche durante le riprese) sul taglio da conferirvi. [Fabio Rainelli]