R-18 Bungakushō Vol. 1 Jijōjibaku no watashi (R-18 Fiction Prize Vol. 1 Self Bondage)
R-18 Bungakushō Vol. 1 Jijōjibaku no watashi (R-18 文学賞 vol.1 自縄自縛の私, R-18 Fiction Prize Vol. 1 Self Bondage). Regia: Takenaka Naoto. Soggetto: dal romanzo di Hiruta Asako. Sceneggiatura: Takahashi Miyuki. Fotografia: Terada Rokuro. Montaggio: Suzaki Chieko. Musica: Sekijima Takero. Produttori: Naka Ryōhei, Okuyama Kazuyoshi. Interpreti: Hirata Kaoru, Andō Masanobu, Sugimoto Aya, Ayabe Yūji.
Durata: 106 minuti. Uscita in Giappone: 2 febbraio 2013.
Punteggio ★1/2
Yuria (Hirata Kaoru) è una studentessa universitaria timida e riservata con un fidanzatino querulo e invadente. Mentre scrive la tesi di laurea, incappa in un sito sulla pratica di legarsi, genericamente nota in occidente come bondage. Incuriosita, prova a mettere in pratica le istruzioni del sito e scopre che la cosa le dà grande soddisfazione. Si laurea e trova un lavoro ma gli episodi della sua vita quotidiana – le relazioni con i colleghi superficiali e vuoti, il rapporto disastroso con una madre e un fratello ottusi, la fine della storiella con il fidanzatino che scopre la sua inclinazione e non la tollera – sono accompagnati in maniera crescente dal suo particolare lato privato, fatto di legamenti sempre più sofisticati e difficili da realizzare. Sull’onda dell’entusiasmo avvia un blog dedicato e lì conosce in forma anonima un uomo di mezza età anche lui appassionato della stessa arte. Quando alla fine troverà il coraggio di incontrarlo di persona avrà una vera sorpresa.
Takenaka Naoko è un attore noto, comparso in più di cento film. Negli ultimi vent’anni si è cimentato un po’ di volte nella regia, con film che cercavano spesso di “avere un contenuto”. Avvicinandosi agli anni recenti le sue interpretazioni istrioniche hanno assunto sempre più toni esasperati, passando dal grottesco e il parodistico al bizzarro se non al delirante. Lo stesso sembra accadere ai suoi film come regista. Dopo titoli interessanti come 119 (Quiet Days of Firemen, 1994) e Tokyo biyori (1997), già la commedia horror Yamagata Scream (2009) era un prodotto difficilmente sostenibile. Ora la deriva sembra proseguire ulteriormente.
Il film è tratto dal romanzo “Jijōjibaku no watashi” (t.l.: “Io mi lego da sola”) di Hiruta Asako del 2010 che ha vinto il premio R-18 Bungakushō, da cui appunto il titolo del film, che viene conferito ad autrici di romanzi aventi come protagonista una donna. Successivamente al film di Takenaka, sono stati realizzati altri due film tratti da romanzi vincitori di tale premio: R-18 Bungakushō Vol.2 – Jellyfish di Kaneko Shusuke (2013) e R-18 Bungakushō Vol.3 – Manga niku to boku diretto dall’attrice Sugino Kiki (2014).
Il bondage compare in moltissimi B-movies di sesso e violenza, nei quali donne legate, appese e sanguinanti sono la materia prima. Di tutt’altro genere è il notevole documentario di Hiroki Ryūichi Bakushi (2007), dedicato a un maestro del bondage inteso come arte, dove il corpo femminile legato viene a essere appunto un’opera da guardare.
Cercando di trovare uno spunto interessante nel film di Takenaka, si può forse dire che esso ci fa sapere in forma parodistica che il bondage non è solo una pratica fatta da una persona su di un’altra ma può anche essere una forma di autoerotismo. La lunga scena in cui Yuria invia le chiavi delle manette al suo partner anonimo, dopodiché la sera si lega completamente e attende supina sul tappeto che l’indomani mattina il postino infili nella buca delle lettere la busta con le chiavi di ritorno, fa capire che il dolore/piacere autoprocurato si spinge molto in profondità. Yuria, infatti, pratica l’arte del legarsi del tutto da sola e anche quando incontra il suo partner e vanno in un hotel insieme, ognuno si lega da solo in un punto diverso della stanza.
L’idea di fondo della storia è molto intrigante e in mano a un regista capace sarebbe potuto uscirne un prodotto esplosivo ma lo svolgimento di questo film è abbastanza deprimente. Le scene sull’ambiente di lavoro sono macchiettistiche peggio di un brutto drama televisivo, mentre le parti più specificamente dedicate al “legarsi” sono poco coinvolgenti.
Hirata Kaoru nella parte della protagonista ha un viso bello e anche sensuale ma, a conferma dell’insipienza del regista, risulta inadatta per la parte. Nonostante alcuni primi piani ravvicinati del suo corpo (vestito) mentre si lega, le sue performance sembrano più vicine a una ginnastica terapeutica che a esplorazioni del lato oscuro del desiderio. [Franco Picollo]