Pekorosu no haha ni ai ni iku (ペコロスの母に会いに行く, Visiting Pecoross’ Mother)
Pekorosu no haha ni ai ni iku (ペコロスの母に会いに行く, Visiting Pecoross’ Mother). Regia: Morisaki Azuma. Soggetto: dal manga di Okano Yūichi. Sceneggiatura: Morisaki Azuma, Akune Tomoaki. Fotografia: Hamada Takeshi. Montaggio: Morisaki Sozo. Musica: Okawa Masayoshi. Interpreti: Iwamatsu Ryo, Akagi Harue, Harada Kiwako, Harada Tomoyo, Takenaka Naoto, Kase Ryo. Produttori: Inohara Takeru, Muraoka Katsuhiko. Durata: 113 minuti. Uscita nelle sale giapponesi: 16 novembre 2013.
Link: Sito ufficiale (con trailer) – Ishii Haruko (Asahi Shinbun)
Punteggio ★★★1/2
Dopo il divorzio dalla moglie e la morte del padre, Okano Yūichi (nome del protagonista della vicenda reale) torna con il figlio a casa della madre a Nagasaki. Circa vent’anni dopo, la donna, ora novantenne, mostra dei segni di demenza senile che crescono progressivamente ma Okano, aiutato dal figlio, argina in qualche modo i problemi che crea la madre. Anche nei momenti più difficili, per fortuna, l’anziana signora trova conforto nel riconoscere suo figlio accarezzandogli l’inconfondibile (per lei) testa pelata che ricorda un tipo di cipolla (da cui il nome del titolo). Alternando ricordi, sogni e comportamenti sventati – quello più rischioso è quando esce da sola all’insaputa dei suoi cari – la madre peggiora fino a rendere inevitabile il ricovero in una struttura attrezzata. Yūichi però non si arrende e inizia a frequentare l’ospizio come la sua seconda casa, al punto che farà amicizia con il figlio di un’altra ricoverata. E, a casa come in ospizio, non demorderà mai dal prendere appunti della vita con la madre attraverso i disegni a fumetti.
Basato sul manga autobiografico che il disegnatore Okano Yūichi ha inizialmente autoprodotto all’età di sessantadue anni, il film è stato indicato, fatto rarissimo se non unico, miglior film giapponese dell’anno sia dalla rivista Kinema Junpō che dalla “concorrente” Eiga Geijutsu.
Ciò che è riuscito all’ottantasettenne regista Morisaki Azuma – autore nel corso della sua lunga carriera di una trentina di film peraltro di non grande profilo – è forse aver indovinato il giusto mix tra comicità e dramma, realtà e paradosso, che nel loro complesso fanno del film un prodotto pervaso di dolcezza e tristezza in misura unica. Alcuni passaggi, in particolare, non possono non toccare. Sul versante comico, è impareggiabile la scena in cui la madre smemorata riceve ripetutamente una telefonata del nipote che cerca il padre, cioè suo figlio, va a cercarlo e dimentica il motivo per cui ha cambiato stanza, lasciando il telefono aperto. Oppure i vari momenti in cui pensa che il marito sia ancora vivo, il figlio o le sorelle le spiegano che purtroppo non è così e lei riprende a parlarne come se niente fosse. Altre scene sono commoventi per la loro tenerezza, come quando l’anziana donna aspetta tutto il giorno seduta nel parcheggio di casa che il figlio torni a casa.
Inframmezzati a questi vari ritratti, il regista, ha poi inserito una serie di flashback che sono la materializzazione visiva dei labili ritorni di memoria della donna. La loro connessione viene a costituire una storia nella storia, altrettanto struggente, che parte da quando era bambina con le sorelle e attaversa quasi un secolo, passando per il marito alcolizzato e violento, la sorella diventata prostituta, il bombardamento atomico di Nagasaki. Il culmine di questi frammenti di storia personale e pubblica è la scena finale del Festival delle Lanterne di Nagasaki, fatta tutta in montaggio alternato fra passato e presente. È lì che durante un’uscita collettiva di pazienti, infermieri e famigliari, la donna rivivrà uno dei momenti affettivi più intensi della sua vita e contemporaneamente Yūichi l’accompagnerà idealmente a ricongiungersi con i famigliari che l’hanno preceduta nel cammino terreno. Una scena che fa capire come dimenticare le cose non sia necessariamente una brutta cosa.
Sul piano dei contenuti, un motivo che spiega il verdetto pressoché unanime dei critici è sicuramente il fatto che in particolare in Giappone – uno dei paesi con il più basso di natalità e la più alta età di invecchiamento, quindi con una altissima percentuale di persone di età avanzata – il problema dell’assistenza degli anziani è pressante sia sul piano affettivo che su quello materiale. In questo senso, Okano prima (con il manga) e il regista dopo, hanno voluto offrire una visione non soltanto cupa e oppressiva alle tante persone che lottano fra lavoro e tempo libero per prendersi cura in casa di un anziano non autosufficiente. Non a caso, lo stesso Okano ha dichiarato “Vorrei che dopo aver visto questo film, la gente della mia generazione che assiste o assisterà un famigliare, pensi che deve avere un atteggiamento più sereno e rilassato. Vorrei che lo vedessero anche i giovani”.
Straordinari i due attori protagonisti e cioè Iwamatsu Ryo (62 anni) nella parte di Yūichi e Akagi Harue (90 anni) in quella madre. Tra i personaggi di contorno, notevoli Harada Tomoyo, nella parte della sorella che è costretta a prostituirsi e Takenaka Naoto, per una volta abbastanza contenuto, nei panni del figlio spaesato di un’altra paziente. [Franco Picollo]