Gakutai no usagi (楽隊のうさぎ, A Band Rabbit and a Boy)
Gakutai no usagi (楽隊のうさぎ, A Band Rabbit and a Boy). Regia: Suzuki Takuji. Soggetto: dal romanzo di Nakazawa Kei. Sceneggiatura: Oishi Michiko. Fotografia: Toda Yoshihisa. Musica: Isoda Ken’ichiro. Interpreti: Kawasaki Kōsei, Miyazaki Masaru, Yamada Maho, Suzuki Sawa, Arata. Produttori: Enomoto Masayuki, Kobayashi Sanshiro, Tai Hisaaki, Zaizen Kenichiro. Durata: 97 minuti. Prima mondiale: 20 ottobre 2013 – Tokyo International Film Festival – Uscita in Giappone: 14 dicembre 2013.
Punteggio ★★★1/2
Katsuhisa è un ragazzo introverso che comunica poco con i genitori e i compagni di scuola. Frequenta la scuola media ma il suo atteggiamento è di stare a scuola il meno possibile e tornare a casa appena può. Un giorno, a scuola, gli compare di fronte un grande coniglio – una persona, si direbbe una ragazza, palesemente travestita da coniglio – e lo conduce nell’aula dove la banda musicale della scuola sta cercando nuovi componenti. Inizialmente Katsuhisa è indifferente ma timidamente si lascia coinvolgere ed entra nella banda, nonostante tutte le prove si svolgano il pomeriggio dopo le lezioni. Passo dopo passo, Katsuhisa, accompagnato discretamente dal coniglio e aiutato da una compagna sensibile e intelligente e dall’insegnante che dirige la banda, si identifica nella parte fino ad arrivare a partecipare alla prima esibizione pubblica.
In Giappone le bande musicali scolastiche (composte principalmente da fiati con l’integrazione di pochi strumenti a percussione per dare il ritmo) sono un fenomeno diffuso e strutturato addirittura in una sorta di campionato nazionale. Ho assistito per caso a un paio di concerti del genere e devo dire che il fervore e la passione che mostrano queste decine di bande a confronto in una sola giornata (e anche la velocità con cui occupano e liberano il palcoscenico con tutti i loro strumenti) è davvero coinvolgente. Le scuole medie e i licei hanno una fitta e semi-obbligatoria attività di cosiddetti “club” per le attività complementari (sport, arte, cultura, artigianato, giochi da tavolo) ma i club delle bande sono fra quelli più impegnativi perché richiedono un impegno non indifferente.
Tratto da un romanzo di successo di Nakazawa Kei e girato a Hamamatsu (vicino a Shizuoka) con una cinquantina di studenti delle scuole della città per circa un anno, il film è una vera sorpresa in quanto a sensibilità e comunicazione. L’amata-odiata appartenenza a un gruppo, le logiche dell’esclusione, le gerarchie interne ai gruppi e sottogruppi, i comportamenti stereotipati per il timore del rifiuto da parte della comunità, i silenzi prolungati che sembrano preludere a un’esplosione che non viene. Tutte le movenze, le paure e le speranze di ragazzi e ragazze nella delicata fase della prima adolescenza vengono ritratte in un quadro non solo credibile ma incredibilmente avvincente. Per esempio, quando Katsuhisa e una compagna vengono esclusi da un imminente concerto perché ancora inesperti, le immagini del loro comportamento, fatto di silenzi, sguardi fissi leggermente inclinati verso il basso, corpi appoggiati stancamente contro la parete o seduti abbandonati, sono più esplicative di un trattato di psicologia. Oppure, quando l’insegnante che dirige la banda propone a Katsuhisa il ruolo di suonatore di timpani, lui ci pensa su a lungo prima di accettare e noi riusciamo a seguire il suo travaglio, il suo non poter prendere alla leggera una decisione che in quel momento è per lui la cosa più importante della vita.
Nel suo svolgimento semplice ma profondo il film riesce a essere trascinante, al punto che non solo l’inevitabile gran concerto finale, ma addirittura le prove si guardano con il fiato sospeso. Seppur ancora incompleto, quello di Katsuhisa è un percorso di formazione che inizia con il fatto di andare a scuola solo perché ci è costretto e finisce con l’andarci perché lo desidera. La grande ricaduta di questo percorso di maturazione è che impara a vivere in comunità, a rapportarsi agli altri, come dimostra la sua apertura finale verso il vecchio compagno di classe che si è isolato. Come gli dice un altro compagno che con rammarico deve cambiare scuola: “In questa banda ho imparato delle cose. Ho capito che le uniche cose negative sono quelle che distruggono la vita”.
Il regista Suzuki Takuji non ha fatto molti film ma già con Watashi wa neko sutoka (I Am a Cat Stalker, 2009) e Gegege no nyōbō (The Wife of Gegege, 2010), tratto dall’autobiografia della moglie del famosissimo mangaka Mizuki Shigeru, aveva mostrato notevole capacità e sensibilità. Da seguire.
Ma il coniglio, che cos’è? Direi che è il coraggio di fare, la creatività, l’entusiasmo di provare a vivere. E un inno alla vita, tanto sommesso quanto toccante, è un po’ il film stesso. [Franco Picollo]