Shinozaki Makoto’s Sharing
Sharing (id.). Regia: Shinozaki Makoto. Sceneggiatura: Sakai Zenzo, Shinozaki Makoto. Fotografia: Akiyama Yūki. Montaggio: Izumi Yoko. Musica: Nagashima Hiroyuki. Suono: Dodo Yasuyuki. Interpreti e personaggi: Yamada Kinuo, Hinoi Asuka, Kimura Tomoki, Kawamura Tatsuya. Produzione: Office Kitano, Omteg.. Anteprima mondiale: Vancouver Film Festival 30 settembre 2014. Durata: 94’.
Link: Georgia Straight (Ken Eiser) – Moria
Punteggio ★★★
Autore importante degli anni Novanta del cinema giapponese, quelli della rinascita, soprattutto per Okaeri (Welcome Home, 1995), storia delle difficoltà di una coppia di fronte al dramma della schizofrenia, e Wasurerarenu hitobito (Not Forgotten, 2000), sulle vicende di tre veterani della Seconda guerra mondiale, Shinozaki Makoto si è poi in parte eclissato nel primo decennio del nuovo secolo. Recentemente, la sua firma è però ritornata a far capolino con piccole e indipendenti opere che sembrano testimoniare di una certa volontà di lavorare ai margini dell’industria. Già Are kara (Since Then, 2012), realizzato in collaborazione con gli studenti della Film School of Tokyo, affrontava da una prospettiva inedita – fondata sul confondersi di realtà, ricordo e immaginazione – il dramma dello tsunami di Fukushima. I principali aspetti di quel film si ritrovano in Sharing, opera che verte esplicitamente sulle conseguenze psicologiche del disastro, che ha per protagonista una giovane docente di psicologia, Eiko, il cui compagno, Kiyoshi, è scomparso in seguito al terremoto.
Il film si apre con le immagini della donna che, seguita da una macchina da presa a spalle, percorre i corridoi di un edificio sino a intravedere il suo fidanzato, che d’un tratto si ferma, le sorride e poi scompare nel nulla. Si tratta di una sequenza onirica, dal carattere celato, che si rivelerà cioè come tale allo spettatore solo con le immagini del risveglio di Eiko. È la prima di altre numerose sequenze simili, di altri sogni camuffati che conferiranno al film una dimensione quasi fantastica, a tratti addirittura da thriller o horror. Qui sta indubbiamente il primo segno caratteristico del film che mescola continuamente il realismo al fantastico, toni documentari e divagazioni oniriche, presupponendo uno spettatore disponibile a muoversi in diversi ordini di realtà.
Insieme a Eiko, che conduce la sua ricerca sulle conseguenze psicologiche del disastro, conseguenze di cui lei stessa è vittima, pur senza averci preso parte in prima persona, altri personaggi prendono corpo nel corso del film. Tra questi ci sono lo stesso Kiyoshi, evocato nei sogni della protagonista e mostrato attraverso riprese video sulla sua attività di ricercatore; Kaoru, una giovane attrice che lavora a uno spettacolo sullo tsunami e che insieme agli altri membri della troupe si interroga sulla possibilità di raccontare ciò a cui non si è partecipato; e un inquietante ragazzo vittima di una sorta di sdoppiamento della personalità – in una delle scene più intense del film si vede circondato in una biblioteca dai suoi stessi sosia – che finirà – nella realtà? In sogno? – con l’organizzare un attentato che metterà a repentaglio la vita di numerosi studenti.
Merita di essere segnalata almeno un’altra scena del film: la conversazione fra Eiko e Kaoru, costruita alla maniera di quella celebre fra Bibi Andersson e Liv Ullman in Persona di Bergman, sia per l’uso del montaggio a rime, sia per l’immagine finale che mostra la metà dei volti delle due attrici, affiancati l’uno all’altro a indicarne la condivisione di uno stesso dramma. Nel finale del film, le dimensioni onirica, mnemonica e fantastica prendono il sopravvento, in un viaggio verso il passato, dove la centrale nucleare assume le fattezze di una macchina del tempo. [Dario Tomasi]