Mata, kanarazu aō to dare mo ga itta (また, 必ず会おうと誰もが言った, The Road Less Travelled)
“Mata, kanarazu aō” to dare mo ga itta (「また、必ず会おう」と誰もが言った, The Road Less Travelled). Regia: Furumaya Tomoyuki. Soggetto: dal romanzo di Kitagawa Yasushi. Sceneggiatura: Katō Junya. Interpreti: Sano Gaku, Sugita Kaoru, Ogata Issei, Tsukamoto Shinya, Shimada Kyūsaku. Produttore: Andrew Tamon Niwa. Durata: 113’. Uscita in Giappone: 28 settembre 2013.
Punteggio ★★1/2
Kazunari è uno studente di un liceo di Kumamoto, nel sud del Giappone, che per vantarsi di fronte ai compagni afferma che Tokyo fa schifo e puzza. La sua bugia ha il fiato corto perché lui non mai è stato a Tokyo. Incalzato dai compagni, per evitare di dire che ha mentito – una simile figura lo farebbe escludere dal gruppo, cosa in Giappone davvero pesante, senza ironia – va a Tokyo per fare qualche fotografia che “comprovi” quanto ha affermato. Arrivato a Tokyo fa sì qualche fotografia ma perde l’aereo del ritorno. Decide di dormire in aeroporto ma non sa che è impossibile. Viene salvato da Masami, una commessa di un negozio di souvenir dell’aeroporto che lo porta a dormire a casa sua. Dopo una iniziale durezza, la donna si mostra come una persona distrutta dalla vita, semialcolizzata. Dopo essere rientrata ubriaca propone a Kazunari di pagarlo affinché vada in un’altra città per portare un regalo a suo figlio. Kazunari accetta ma quando arriva a destinazione scopre dall’ex marito di Kazunari, un barbiere depresso, che in realtà il figlio è morto da tempo e che la madre gli manda dei regali a ogni scadenza importante come se fosse vivo. Kazunari riparte e trova un passaggio da un rude camionista bizzarro, con il quale nonostante tutto instaura un’intesa. Kazunari scopre che il camionista ha un tumore in fase terminale e nel corso di una crisi lo accompagna in ospedale e gli sta vicino. Lì incontra un nipote del camionista che vive con il padre separato e lo accompagna dalla madre, distrutta dalla depressione.
Furumaya Tomoyuki è un regista con un certo talento per i film che ritraggono figure e psicologie giovanili. Dopo un esordio un po’ in sordina negli anni ’90, si è fatto notare all’inizio degli anni 2000 con Mabudachi (Bad company, 2001) e con Robokon (Robot Contest, 2003), opere in cui manifestava una notevole sensibilità di analisi. Poi ha fatto alcuni film mainstream, tra cui il giovanilistico Bushido Sixteen (2010). Ora torna con questo film tratto da un romanzo di Kitagawa Yasushi, che ha di nuovo per protagonista un adolescente alla scoperta della vita. Quello di Kazunari è un viaggio di formazione in negativo, dove l’acquisizione della consapevolezza avviene più attraverso la visione della sofferenza altrui che tramite l’esperienza diretta. L’idea non è male e Furumaya dimostra ancora una volta una buona capacità di cogliere le sfumature sottili e le contraddizioni ingenue dell’animo giovanile ma il limite del film sta proprio nel fatto che sembra dare la prevalenza ai casi tristi dei diversi personaggi più che alla crescita interiore di Kazunari. Il suo viaggio tende così a diventare una sorta di pretesto al contrario per connettere dei medaglioni di sofferenza e disperazione tutto sommato isolati.
Un dettaglio. Nella parte del barbiere depresso che ha perso il figlio troviamo Tsukamoto Shinja, che anche con questo cameo riesce a regalarci un’emozione. [Franco Picollo]