Kiseijū – Kanketsu hen (寄生獣 完結編, Parasyte Part 2)
Kiseijū – kanketsu hen (寄生獣 完結編, Parasyte Part 2). Regia: Yamazaki Takashi. Soggetto: dal manga di Iwaaki Hitoshi. Sceneggiatura: Kosawa Ryersonaggi e interpreti: Sometani Shōta. Fotografia: Ato Shoichi. Suono: Shiratori Mitsugu. Musica: Sato Naoki. Effetti visivi: Shibuya Kiyoko, Yamazaki Takashi. Personaggi e interpreti: Sometani Shōta (Izumi Shinichi), Hashimoto Ai (Murano Satomi), Abe Sadao (Migi), Fukatsu Eri (Tamiya Ryoko), Omori Nao (Kumamori), Arai Hirofumi (Uragami), Asano Tadanobu (Goto), Yo Kimiko (la madre di Shnichi), Kitamura Kazuki (Hirokawa Takeshi, il sindaco), Kunimura Jun (detective Hirama). Durata: 120′. Uscita in Giappone: 25 aprile 2015.
Link: Mark Schilling (Far East Film Festival)
Al termine della prima parte di Parasyte, Shinichi, il ragazzo con un alieno impiantato nella mano destra, giurava vendetta ai parassiti. Nella seconda parte – presentata al Far East Film Festival di Udine alla presenza del regista ed in contemporanea con l’uscita nelle sale giapponesi – lo ritroviamo alle prese con i propri obiettivi di “pulizia”, mentre gli alieni in questione continuano allegramente a cibarsi di esseri umani e sembrano organizzarsi per l’invasione del pianeta.
Yamazaki Takashi (vincitore al Far East Film Festival 2014 con il film Eien no Zero, The Eternal Zero), continua la saga basata sul manga di Iwaaki Hitoshi con un film meno action e horror del primo (e, purtroppo, a tratti, un po’ più noioso), nel quale l’eroe si sofferma a riflettere, in primo luogo sui cambiamenti determinati dalla presenza dell’alieno “agganciato” alle sue cellule.
Un po’ alla Blade,il ragazzo combatte il “nemico” con la consapevolezza di averlo nei propri tessuti, nel proprio sangue e forse, la domanda per il povero Shinichi più agghiacciante, nel proprio animo. D’attorno a lui un mondo infettato di cattivi propositi (ma solo gli alieni ne sono portatori…?), come quelli di Goto (interpretato da Asano Tadanobu), un parassita leader molto potente con il quale le forze di polizia si intratterranno nel finale in una rocambolesca resa dei conti. Ho apprezzato lo scontro tra l’alieno che trasforma in tempo reale qualsiasi parte del proprio corpo (non fraintendetemi, non è Tetsuo…) in armi e scudi, con un poliziotto quasi d’altri tempi in impermeabile, il detective Hirama, interpretato da Kunimura Jun. Universi a confronto veramente.
Anche tra i parassiti comunque c’è chi sceglie la via della non omologazione al proprio gruppo e tenta di sperimentare, finendo male peraltro (quanto ci sono simili questi alieni…): la professoressa Tamiya si cimenta con la maternità, vuole capire di cosa si tratta e mentre filosofeggia sul «che senso ha la nostra esistenza, che ci facciamo qui» si scopre indifesa di fronte ad un neonato che senza paura gioca con lei e le sorride. Bella la sequenza nella quale alza lo sguardo dal piccolo e si vede riflessa nel vetro di fronte: anche un parassita alieno divoratore di carne umana deve fare i conti con il proprio inconscio…
Proprio questo è a mio avviso l’aspetto positivo del film di Yamazaki Takashi: si muove in quella zona grigia tra bene e male lasciando intendere che nei suoi personaggi i due aspetti convivano. Il che è molto giapponese e spiega il motivo per cui la pellicola non abbia avuto fortuna negli Stati Uniti, dove invece il pubblico ha bisogno che il buono e il cattivo siano chiaramente e definitivamente individuabili.
Qui invece ci si pone per tutto il tempo il problema di una possibile coesistenza (con alieni sanguinari? Perché no, posto che per molti aspetti non sembrano tanto diversi da noi), e in fondo ci si interroga sulla natura dell’essere umano.
Di certo Shinichi e Migi costruiscono un bel rapporto, anzi si fondono al punto da diventare un personaggio unico, che ha le diverse sfaccettature di qualsiasi creatura dell’universo. E il modo in cui preparano insieme la zuppa di miso, in una delle sequenze più esilaranti del film, riassume più di qualsiasi analisi filosofica il concetto di un rapporto che funziona.[Claudia Bertolè]