Hajimari no michi (はじまりのみち, Dawn of a Filmmaker: The Keisuke Kinoshita Story)
Hajimari no michi (はじまりのみち, Dawn of a Filmmaker: The Keisuke Kinoshita Story). Regia, soggetto e sceneggiatura: Hara Keiichi. Fotografia: Ikeuchi Yoshihiro. Montaggio: Tachibana Yōji. Musica: Fuki Harumi. Interpreti: Kase Ryō, Yusuke Santamaria, Tanaka Yūko, Hamada Gaku, Miyazaki Aoi. Produttori: Aragaki Hirotaka, Ishizuka Yoshitaka. Durata: 96′. Uscita nelle sale giapponesi: 1 giugno 2013.
Per il pubblico occidentale il cinema giapponese classico di solito è costituito, in ordine decrescente di conoscenza, da Kurosawa, Mizoguchi, Ozu e Naruse. Resta invece praticamente sconosciuto ai più Kinoshita Keisuke. Ed è un peccato perché Kinoshita ha contribuito come e più di altri alla costruzione del cinema giapponese degli anni ’50 e ’60, con film spesso ricchi di spunti originali, talvolta sul piano stilistico, altre volte su quello narrativo, altre ancora su quello del coinvolgimento emotivo. Tra i suoi titoli più famosi vi sono Nihon no higeki (Tragedy of Japan, 1953), Nijūshi no hitomi (Twenty-Four Eyes, 1954) e Nogiku no gotoki kimi nariki (You Were Like a Wild Chrysanthemum, 1955). Ma la maggior parte della quarantina di film che egli ha realizzato nella sua carriera presenta qualche motivo di interesse ancora oggi.
Il film di Hara Keiichi – autore di vari anime, fra cui il noto Kappa no Kū to natsuyasumi (Summer Days with Coo, 2007) e alcuni tratti dalla famosa serie di manga di Crayon Shinchan, e soprattutto del recente Sarusuberi (Miss Hokusai, 2015) – non è una biografia di Kinoshita. È invece la narrazione di un episodio della gioventù di Kinoshita inframmezzato di alcuni spezzoni dei suoi film.
Il film di Hara Keiichi – autore di vari anime, fra cui il noto Kappa no Kū to natsuyasumi (Summer Days with Coo, 2007) e alcuni tratti dalla famosa serie di manga di Crayon Shinchan, e soprattutto del recente Sarusuberi (Miss Hokusai, 2015) – non è una biografia di Kinoshita. È invece la narrazione di un episodio della gioventù di Kinoshita inframmezzato di alcuni spezzoni dei suoi film.
L’episodio in questione ha origine dalla bocciatura di un progetto di film da parte della censura del governo militare con tutte le sue assurdità – su questo aspetto, magistrale è il film Warai no daigaku (University of Laughs, di Hoshi Mamoru, 2004). Kinoshita si rifiuta di essere accomondante come vorrebbe il produttore e in preda all’ira decide di abbandonare il suo lavoro di regista. Torna a casa e si trova nel pieno degli sconvolgimenti della guerra, con gli americani che stanno per bombardare le principali città giapponesi. La famiglia di Kinoshita deve abbandonare la casa e il negozio faticosamente costruiti negli anni e trasferirsi in campagna ma la madre, interpretata da una sempre toccante Tanaka Yūko, è molto malata e non può muoversi. Kinoshita convince il fratello a trasportare la madre con un carretto tirato da loro stessi. Aiutati da un simpatico facchino – il sempre pimpante Hamada Gaku – riescono, allo stremo delle forze nella loro impresa. Durante la marcia e soprattutto nella casa di campagna faticosamente raggiunta, Kinoshita, spinto anche dalla madre, riconsidera la sua decisione e medita il ritorno dietro la macchina da presa. Decisione, questa, che verrà confermata allo spettatore da una serie di sequenze dei suoi film più famosi.
La storia, seppur lieve, ha una sua delicatezza e congruenza. Ne risulta un ritratto del giovane Kinoshita molto legato alla madre e interprete di uno dei capisaldi della cultura tradizionale giapponese, cioè l’amore filiale e il rispetto profondo per i genitori nel più ampio contesto della centralità della famiglia. Forse ai nostri occhi tutto ciò può sembrare un po’ superato ed eccessivo ma nonostante le violente trasformazioni della società e della famiglia dal dopoguerra a oggi, resta comunque radicato nella mentalità del popolo giapponese. Non vengono toccati altri elementi della vita di Kinoshita che avrebbero potuto costituire interessante materia cinematografica, dall’iniziale opposizione della famiglia nei confronti del lavoro di regista alla sua sofferta mancanza di studi universitari, fino alla sua nota, creativa omosessualità. Cionostante il film riesce a trasmettere un senso di leggerezza positiva e quasi di nostalgia per brandelli di atmosfera dell’epoca in cui sono nati i primi film di Kinoshita.
Kase Ryō è diligente nella parte di Kinoshita, mentre è un vero lusso il fugace cameo di Miyazaki Aoi come insegnante di scuola elementare che transita in lontanza seguita dalla sua classe, covvia ispiraizone per la futura insegnante di Nijūshi no hitomi. [Franco Picollo]
La storia, seppur lieve, ha una sua delicatezza e congruenza. Ne risulta un ritratto del giovane Kinoshita molto legato alla madre e interprete di uno dei capisaldi della cultura tradizionale giapponese, cioè l’amore filiale e il rispetto profondo per i genitori nel più ampio contesto della centralità della famiglia. Forse ai nostri occhi tutto ciò può sembrare un po’ superato ed eccessivo ma nonostante le violente trasformazioni della società e della famiglia dal dopoguerra a oggi, resta comunque radicato nella mentalità del popolo giapponese. Non vengono toccati altri elementi della vita di Kinoshita che avrebbero potuto costituire interessante materia cinematografica, dall’iniziale opposizione della famiglia nei confronti del lavoro di regista alla sua sofferta mancanza di studi universitari, fino alla sua nota, creativa omosessualità. Cionostante il film riesce a trasmettere un senso di leggerezza positiva e quasi di nostalgia per brandelli di atmosfera dell’epoca in cui sono nati i primi film di Kinoshita.
Kase Ryō è diligente nella parte di Kinoshita, mentre è un vero lusso il fugace cameo di Miyazaki Aoi come insegnante di scuola elementare che transita in lontanza seguita dalla sua classe, covvia ispiraizone per la futura insegnante di Nijūshi no hitomi. [Franco Picollo]