Taiyō no suwaru basho (太陽の座る場所, The Place Where the Sun Sits). Regia: Yazaki Hitoshi. Soggetto: dal romanzo di Tsujimura Mizuki. Interpreti: Mizukawa Asami, Kimura Fumino, Kanna Mori, Miura Takahiro, Tsurumi Shingo, Koizumi Aoi. Produttore: Tanabe Junko. Produttori esecutivi: Konishi Keisuke, Shinohara Kimio. Distribuzione: Phantom Film. Durata: 102 minuti. Uscita nelle sale giapponesi: 4 ottobre 2014.
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Punteggio ★★★ (3/5)
In un liceo di provincia, Takama Kyōko è la reginetta di una delle classi dell’ultimo anno. Tutte aspirano a esserle amiche, tutte la seguono e la imitano, beandosi di far parte della sua cerchia. L’arrivo di una nuova allieva, Suzuhara Kyōko, rimescola le carte perché Takama intuisce fin da subito che l’altra Kyōko, seppure abbia un’aria quieta e più che normale, è l’unica in grado di esserle antagonista. Con un gesto simbolico molto significativo, le dà un altro nome, Rin-chan, e cancella dalla lavagna il nome Kyōko. Come a dire: qua di Kyōko ci sono solo io. Cionostante, con dolcezza e morbidezza, Suzuhara mina progressivamente il regno di Takama, fino a portarle via il ragazzo.
Nei dieci anni successivi alla fine del liceo, ogni anno si svolge il tradizionale incontro degli ex allievi ma le due Kyōko non partecipano. Ora sono entrambe note, seppur in maniera diversa: Takama fa l’annunciatrice televisiva dell’emittente del paese di provincia dove ha fatto il liceo; Suzuhara è un’attrice famosa. L’avvicinarsi dell’incontro per i dieci anni dalla fine del liceo, riapre ricordi e innesca tensioni che spingeranno entrambe la Kyōko a parteciparvi per sciogliere il nodo del loro tormentato rapporto.La scena finale, con le due donne stese sul materasso dello sgabuzzino degli attrezzi sportivi dove avevano rinchiuso una compagna, sarà l’occasione per Takama di accettare la sconfitta nei confronti dell’altra Kyōko e di ritrovare un senso alla propria vita.
Costruito attraverso un’incalzante e continua alternanza di scene odierne, con i protagonisti adulti, e flashback di dieci anni prima, all’ultimo anno di liceo, il film ha una coinvolgente struttura circolare dove i due momenti temporali conferiscono progressivamente significato uno all’altro. Emergono così odii, rancori, gelosie, vessazioni e violenze che al tempo del liceo stavano sotto la superficie apparente allegra e spensierata del gruppo di ragazze e che oggi si risvegliano e tendono a rimescolare ancora una volta i loro rapporti.
Il cinquantanovenne Yazaki Hitoshi è un regista dalla filmografia molto parca ma tutt’altro che da trascurare. Dopo un debutto subito a segno nel 1980 con
Kazetachi no gogo (Afternoon Breezes), toccante storia d’amore fra due donne di cui solo una è lesbica, firma nel 1991
Sangatsu no raion (March Comes In Like a Lion), ponendosi come uno degli autori più significativi della new wave giapponese degli anni ’90, per poi sparire e riemergere più o meno ogni 4-5 anni. In particolare nel 2006 gira
Strawberry Shortcakes (2006), notevole ritratto esistenziale di quattro donne, e nel 2010
Sweet little lies (2010), dramma da camera su coppia e solitudine. Nel 2011 gira ancora
Furin jun ai, poi di nuovo silenzio. Ora torna con questa storia a cavallo tra
seishun eiga e conflitti esistenziali di giovani adulti.
La gestione della materia narrativa è sapiente e fluida e il tocco d’autore si avverte qua e là anche in piccoli dettagli, come la composizione cromatico-geometrica della scena degli alunni in piedi nel cortile per guardare l’eclissi solare o per l’uso degli occhialini bianchi (sempre per guardare l’eclissi) in alcune situazioni di straniamento di un personaggio, o ancora, con un magistrale cortocircuito fra flashback e flashforward, Yuki adulta che sale le scale del cimitero e incrocia una ragazza che è lei al tempo del liceo. Lo stile di Yazaki non è mai gridato; alle spiegazioni sembra sempre preferire brevi tocchi che accennano a temi e sviluppi della storia senza mai svilupparli del tutto, lasciando così allo spettatore un senso di incompiutezza che potrebbe preludere a piccoli misteri che egli può ricomporre con la propria immaginazione.
Felici sono poi la scelta degli attori e la loro direzione. Asami Mizukawa, con il suo physique du rôl da bellezza antipatica, è perfetta nella parte di Takama, così come Kimura Fumino nei panni di Suzuhara sembra azzeccata. Senza dimenticare la diciottenne Koizumi Aoi nel ruolo di Takama da studentessa. Tutto in generale è molto curato, le luci, in particolare la luce del sole nella palestra dove si incontrano le due donne – da cui il titolo “Là dove si siede il sole” – sono sempre perfette, la musica ha un vago sapore elegiaco che contribuisce alla costruzione dell’atmosfera .
Manca però qualcosa a questo bel film per essere un grande film. Forse gli sviluppi delle vite delle due donne mancano di qualche passaggio in più, forse i protagonisti maschili sono troppo laterali se non irrilevanti rispetto alle protagoniste femminili. Forse, ancora, il contesto ambientale – la scuola, il paese di provincia, gli ambienti di lavoro – sono sempre solo in sottofondo. Insomma, Yazaki è tornato ed è un’ottima cosa. Speriamo di non dover aspettare altri quattro o cinque per vedere il suo capolavoro. [Franco Picollo]