Deeree gaaruzu (でーれーガールズ, Fantastic Girls)
Deeree gaaruzu (でーれーガールズ, Fantastic Girls), Regia: Ōku Akiko. Soggetto: dal romanzo di Harada Maha. Sceneggiatura: Minamoto Takashi. Fotografia: Nakamura Natsuyo. Montaggio: Yoneda Hiroyuki. Musica: Yano Hiroyasu. Interpreti: Yūki Mio, Adachi Rika, Shirahane Yuri, Aran Kei, Suga Kenta, Yamane Chika. Produttori: Hattori Yasuhiko, Niimura Yutaka, Shiraishi Yuna. Durata: 118 minuti. Uscita nelle sale giapponesi: 21 febbraio 2015.
Link: Sito ufficiale (in giapponese)
Siamo nel 1980. L’idolo delle ragazzine è Yamaguchi Momoe, che proprio in quell’anno si ritira dalle scene gettando nello sconforto milioni di fan. Ayuko si trasferisce da Tokyo a Okayama, nel sud del Giappone. Entra in un liceo prestigioso, ma non ha amiche, anzi patisce l’esclusione da parte delle compagne che le fanno notare la sua difformità dalle tante regole non scritte dell’ambiente, a cominciare da come ci si annoda il foulard sulla casacca della divisa scolastica. Ayuko trova conforto solo nella passione per i manga, che disegna fino a tarda notte. La vicenda che disegna in progress è la storia d’amore fra lei e Hideo, studente universitario e componente di una rock band. Un giorno trova inaspettatamente amicizia in una compagna di classe, Akemi, anche lei parzialmente esclusa dalle altre perché figlia di una coppia mista (madre giapponese, padre occidentale).
Ciò che le lega più profondamente è la storia d’amore con Hideo narrata dal manga che Ayuko consegna “a puntate” all’amica. La vicenda va oltre i confini previsti, con Akemi che si innamora di Hideo senza averlo mai visto e Ayuko che si risente. Ma, piano piano, capiamo che Hideo è solo un’invenzione di Ayuko per esprimere la propria soggettività e quando lei uscirà con una ragazzo “vero” e Akemi li coglierà mano nella mano, i problemi si ingrandiranno fino alla rottura. Trent’anni dopo, Ayuko è una mangaka famosa e torna a Okayama per tenere una conferenza nel suo liceo. Reincontra Akemi che ora insegna nella stessa scuola …
Ōku Akiko, in circa quindici anni di attività ha fatto sì e no una decina di film, quasi sempre storie di giovani donne che affrontano un qualche disagio nell’impatto con il mondo reale a cavallo tra adolescenza ed età adulta. T ra di essi vanno segnalati almeno Koisuru Madori (Tokyo Serendipity, 2007) e Tōkyō mujirushi joshi monogatari (Tokyo Nameless Girl’s Story, 2012). Anche Fantastic Girls si può ascrivere a questo ambito pur non presentando particolari spunti critici.
Nel rigido codice non scritto dei generi e sottogeneri del cinema giapponese, all’interno del meta-genere seishun eiga, c’è – oltre al tema dell’ambizione di diventare disegnatori di manga – il tema del trasferimento scolastico (tenkō), argomento che ricorre in mille film. Uno degli esempi classici è appunto il film Tenkōsei di Obayashi Nobuhiko (Exchange Student, 1982, straordinario esordio dell’attrice Satomi Kobayashi allora diciassettenne), parzialmente rifatto dallo stesso Obayashi nel 2007 (Tenkōsei: sayonara anata, Switching – Goodbye Me). Quasi sempre il trasferimento non è neutro: lo studente o la studentessa che arriva in provincia dalla metropoli viene corteggiato e ambito come amico (si veda il bellissimo Tennen kokekko, A Gentle Breeze in the Village, 2007, di Yamashita Nobuhiro), oppure osteggiato come un intruso, come è il caso di Fantastic Girls.
La piccola novità di questo film è che l’incontro e il sostegno reciproco delle due ragazze non è un’unione di emarginate come spesso accade ma ha piuttosto una valenza positiva, di reciproco incoraggiamento che è fonte di entusiasmo (di qua la parola “deeree” nel titolo, che nel dialetto di Okayama significa “fenomenale”). Sia la costruzione e la descrizione dell’ambiente scolastico, sia la dialettica fra passato e presente richiamano alla mente un film visto recentemente e cioè Taiyō no suwaru basho (The Place Where the Sun Sits, 2014), di Yazaki Hitoshi. Ma mentre il film di Hitoshi scandaglia le dinamiche psicologiche e ambientali con attenzione e sensibilità, Fantastic Girls rimane alla superficie e, soprattutto nella parte finale, il melodramma in stile televisivo prende la mano alla regista, facendone nel complesso un film che non resta nella memoria. [Franco Picollo]