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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Haha to kuraseba (母と暮せば, Nagasaki: Memories of my Son)

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Haha to kuraseba (母と暮せば, Nagasaki: Memories of my Son). Regia: Yamada Yōji. Soggetto: da una pièce teatrale mai realizzata di Inoue Hisashi. Sceneggiatura: Yamada Yōji, Hiramatsu Emiko. Fotografia: Chikamori Masashi. Montaggio: Ishii Iwao. Musiche: Sakamoto Ryūichi. Personaggi ed interpreti: Fukuhara Nobuko (Yoshinaga Sayuri). Fukuhara Kōji (Ninomiya Kazunari). Sata Machiko (Kuroki Haru). Durata: 130’. Uscita in Giappone: 12 dicembre 2015.

Nagasaki 9 agosto 1945, la bomba atomica sganciata dall’aviazione americana solo tre giorni dopo quella su Hiroshima annienta e porta via centinaia di migliaia di vite, fra cui quella del giovane studente Kōji. Passano tre anni ed improvvisamente il ragazzo appare alla madre Nobuko, vedova. L’apparizione è visibile però solo alla donna. A tenerle compagnia c’è anche la giovane Machiko, ex-fidanzata del ragazzo che si sente in dovere di continuare a prendersi cura di Nobuko. Le visite del figlio si fanno sempre più frequenti ed i due discutono del loro passato ma anche del futuro che la donna, secondo il ragazzo, dovrebbe costruirsi cercando di dimenticare le tragedie della guerra.
Yamada negli ultimi anni sembra aver deciso di rivolgere la sua attenzione verso la prima parte del secolo scorso, un periodo che benchè sembri lontano continua ad avere la sua influenza sulla contemporaneità giapponese e più in generale asiatica. Nel 2008, con l’eccellente Our Mother indagava lo sconvolgimento portato in una famiglia giapponese prima dal militarismo del governo e poi dalla tragedia della Seconda Guerra mondiale. Mentre cinque anni dopo con The Little House il regista creava uno spaccato della situazione in una famiglia della borghesia medioalta durante e dopo l’espansionismo militare nipponico nella vicina Asia. Nel primo film la protagonista era interpretata da Yoshinaga Sayuri ed uno dei personaggi secondari era interpretato da Asano Tadanobu, mentre in The Little House nel ruolo dell’aiutante domestica c’era Kuroki Haru che fu premiata a Berlino per la sua interpretazione. 
Questi tre attori ritornato tutti in questo Nagasaki: Memories of my Son che in qualche modo continua a scandagliare gli effetti che il militarismo, l’espansionismo e la violenza della guerra portano in un nucleo familiare. Va detto subito che di questi tre lavori l’ultimo è decisamente il più debole, l’interpretazione di Yoshinaga è come sempre perfetta per espressività e sottigliezza delle emozioni mostrate, così come ancora una volta bravissima è Kuroki Haru in un ruolo non da protagonista. Continuando con i pregi del film, va detto che il lavoro fatto con le luci e l’art design – la maggior parte delle scene si svolge all’interno della vecchia casa della donna – è sorprendente e rende alla perfezione la teatralità ed il gusto quasi fantastico delle conversazioni fra Nobuko ed il figlio. Anche le musiche realizzate da Sakamoto Ryuichi si sposano alla perfezione per il tipo di film e di narrazione che si svolge davanti ai nostri occhi.
Ciò che delude e finisce per incidere pesantemente però sulla qualità della pellicola sono da un lato la presenza di Ninomiya Kazunari nella parte del figlio, e dall’altro il finale stesso del film. Ninomiya è uno dei volti televisivi più popolari in Giappone, uno dei membri della boy band Arashi, senza alcun dubbio il gruppo che domina le classifiche di presenzialismo televisivo nell’arcipelago. Ora, Ninomiya non è per partito preso un cattivo attore, nessuno lo è in partenza, molto spesso dipende dal tipo di lavoro e dal regista con cui deve misurarsi, lo abbiamo già visto per esempio in una buona interpretazione in Letters fron Iwo Jima di Clint Eastwood. In Nagasaki: Memories of my Son mi ha deluso, ma il mio giudizio è troppo pesantemente influenzato dal contesto in cui l’”attore” opera, il mondo delle agenzie di talenti che impongono il loro “attore” alle produzioni, ne abbiamo parlato già troppe volte, meglio finire qui. 
Vedere il film con un occhio più distaccato e puro magari potrebbe ribaltare il giudizio su Ninomiya, ma il problema principale del film non è questo. Se la pellicola fosse finita 10 o 15 minuti prima, sarebbe risultato un lavoro di tutto rispetto e forse da ricordare assieme agli altri due film di Yamada prima menzionati. Senza rivelare troppo della trama, basti accennare che l’ultimissima parte del film è un concentrato di melassa e banalità buonista che sfocia nel ridicolo, non tanto narrativamente parlando, dopo tutto stiamo parlando di un film della Shōchiku e di Yamada, non di un “rivoluzionario” alla Ōshima o alla Yoshida, ma quanto nel modo in cui il tutto è realizzato, peccato, davvero un’occasione persa. [Matteo Boscarol]
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