Eberesuto kamigami no itadaki (エヴェレスト 神々の山嶺, Everest: The Summit of the Gods)
Eberesuto kamigami no itadaki (エヴェレスト 神々の山嶺, Everest: The Summit of the Gods). Regia: Hirayama Hideyuki. Soggetto: dal romanzo di Yumemakura Baku. Sceneggiatura: Katō Masato. Fotografia: Kita Nobuyasu. Musica: Kako Takashi. Interpreti: Okada Jun’ichi, Abe Hiroshi, Onō Machiko, sasaki Kuranosuke, Pierre Taki. Produttori: Inoue Fumio, Okada Arimasa. Durata: 123′. Uscita nelle sale giapponesi: 12 marzo 2016.
Link: Sito ufficiale (in giapponese).
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Recentemente sono comparsi alcuni film che raccontano di grandi imprese/drammi sull’Everest e che hanno in comune una notevole dose di superficialità e di retorica. È il caso per esempio di Everest, di Baltasar Kormákur (2015) o di The Himalayas di Seok-Hon Lee (2015). A tale infelice tendenza si unisce ora il Giappone con questo film vacuo e reboante fin dal titolo.
Il film prende astrattamente spunto dalla storia di George Mallory, l’alpinista inglese che l’8 giugno 1924, insieme con il compagno di scalata Andrew Irvine, tentò di raggiungere per la prima volta nella storia la cima più alta del mondo, cioè l’Everest. Dopo aver lasciato la propria tenda sulla parete nord dell’Everest e aver intrapreso l’ultimo tratto per raggiungere la vetta, i due vennero avvistati a circa 240 metri dalla cima dall’altro loro compagno di scalata Odell, poi non furono più visibili a causa di una tempesta di neve e non fecero mai ritorno. Non vi è quindi certezza se Mallory e Irvine abbiano o meno raggiunto la cima. Neppure il ritrovamento del corpo di Mallory nel 1999 ha consentito di stabilire definitivamente se egli fu il primo uomo al mondo a salire sull’Everest o meno. Una macchina fotografica, appartenuta sembra a Irvine, potrebbe dare nuove informazioni.
Nel film, Makoto Fukamachi (Okada Jun’ichi) è un fotografo giapponese. Durante un reportage in Nepal trova in un negozietto una vecchia macchina fotografica e si convince che essa possa spiegare la vicenda di Mallory. Cerca di comprarla ma non ci riesce a causa dell’intervento di uno strano personaggio locale. Lo segue e scopre che l’anziano uomo vive con Joji Habu (Abe Hiroshi), un leggendario alpinista giapponese che si è isolato dalla comunità degli scalatori per il suo carattere impossibile e per il trauma di un compagno di cordata che dopo essere caduto ed essere rimasto sospeso nel vuoto, ha tagliato volontariamente la corda e si è lasciato cadere per salvare Habu. La storia si sposta così sulla vicenda umana e alpinistica di Habu, che Fukamachi convince a tornare sull’Everest per cercare il corpo di Mallory. Senza troppe preoccupazioni per la credibilità, i due si muovono allegramente fra i 7 e gli 8.000 metri senza respiratori, portatori e campi di appoggio, se non una tenda con il vecchio che li aspetta.
Eroismo, retorica e paesaggi sostanziano pedestremente una storia davvero gracile. Il risultato è un film privo di interesse, neppure dal punto di vista ambientale, sebbene sia stato girato, a quanto viene detto, sull’Everest. Peccato, perché il regista Hirayama Hideyuki, ha firmato in passato qualche film tutt’altro che disprezzabile, come Turn (2001), Shaberedomo, shaberedomo (2007) e soprattutto il notevole jidaigeki Hisshiken torisashi (Sword of desperation, 2010).
Gli attori non sono da meno nella loro piattezza. Okada Jun’ichi, cantante del gruppo V6 e attore specializzato in parti da macho “all’americana”, e Abe Hiroshi, ex modello che se non ha un regista bravo alle spalle è più immobile di un monolite, sembrano fare a gara fra chi è meno espressivo.
Fare film di montagna sembra davvero non essere facile. Viene quasi da rimpiangere Arnold Fanck e Luis Trenker. [Franco Picollo]